Un importante risultato nell’integrazione tra cervello umano e intelligenza artificiale è stato recentemente raggiunta grazie al lavoro pionieristico di un team internazionale di ricercatori (https://www.nature.com/articles/s41928-025-01340-2). Il gruppo ha sviluppato un’innovativa interfaccia cervello-computer (BCI) che sfrutta componenti elettronici avanzati chiamati memristori. Questa tecnologia all’avanguardia consente agli utenti di comandare dispositivi complessi, come i droni, attraverso il pensiero, traducendo gli impulsi neurali in istruzioni operative senza necessità di controlli fisici. Tale sviluppo rappresenta un importante risultato nel campo delle neuroscienze applicate, e apre anche scenari inediti per le applicazioni pratiche dell’intelligenza artificiale nella vita quotidiana.
Che cosa sono i memristori e come funzionano? Immaginate un componente elettronico che funziona un po’ come la nostra memoria: così come noi ricordiamo le esperienze passate, il memristore “ricorda” quanta elettricità lo ha attraversato in precedenza. A differenza dei componenti elettronici tradizionali, che mantengono sempre lo stesso comportamento, il memristore cambia le sue caratteristiche in base alla sua “storia elettrica”.
Questa capacità di “ricordare” rende i memristori particolarmente simili alle connessioni tra i neuroni del nostro cervello (chiamate sinapsi), che si rinforzano o indeboliscono in base all’esperienza. È proprio questa somiglianza che li rende ideali per creare computer che lavorano in modo più simile al cervello umano.
Come funziona questa interfaccia cervello-computer? Il sistema sviluppato dai ricercatori può essere paragonato a un traduttore simultaneo tra due lingue molto diverse: quella del cervello e quella delle macchine. Ecco come funziona:
Acquisizione dei segnali: Piccoli sensori (elettrodi) vengono posizionati sulla testa della persona. Questi captano i deboli segnali elettrici prodotti naturalmente dal cervello durante il pensiero.
Decodifica: I segnali vengono inviati a un chip speciale contenente 128.000 memristori. Questo chip funziona come un “decodificatore neuromorfico” (dove “neuromorfico” significa “a forma di neurone” o “che imita i neuroni”).
Traduzione in comandi: Il chip analizza i pattern di attività cerebrale e li converte in comandi specifici, come “vai avanti”, “gira a destra” o “sali più in alto”.
Controllo del dispositivo: Questi comandi vengono poi trasmessi al dispositivo esterno (in questo caso un drone) che li esegue in tempo reale.
La grande novità di questo sistema è che consuma moltissima meno energia rispetto ai computer tradizionali – circa 1.643 volte meno. Questo lo rende particolarmente adatto per dispositivi portatili o impiantabili, dove l’efficienza energetica è fondamentale.
Il concetto di “co-evoluzione”: quando cervello e macchina imparano insieme La parte più interessante di questa tecnologia è la sua capacità di adattamento reciproco, che i ricercatori chiamano “co-evoluzione”. Non è solo il computer che impara a interpretare meglio il cervello, ma anche il cervello che impara a produrre segnali più chiari per il computer.
Possiamo paragonare questo processo all’imparare a suonare uno strumento musicale: all’inizio, sia le vostre dita che il vostro cervello sono “goffi”, con la pratica, le vostre dita diventano più precise e il cervello sviluppa connessioni neurali più efficienti
Alla fine, suonare diventa quasi automatico grazie a questo adattamento reciproco.
Questo stesso principio avviene tra il cervello dell’utente e il chip con memristori: più interagiscono, più diventano “sintonizzati” l’uno con l’altro. I test hanno dimostrato che questo approccio migliora l’accuratezza del sistema del 20% rispetto ai metodi tradizionali.
La riabilitazione motoria: un nuovo orizzonte per chi ha subito danni neurologici
Una delle applicazioni più promettenti di questa tecnologia riguarda la riabilitazione delle persone che hanno perso capacità motorie a causa di ictus, lesioni al midollo spinale o altre condizioni neurologiche.
Quando una persona subisce un ictus o una lesione cerebrale, spesso alcune connessioni tra il cervello e i muscoli vengono danneggiate. La riabilitazione tradizionale cerca di creare nuove connessioni attraverso esercizi ripetitivi, ma questo processo può essere lungo e frustrante.
Le interfacce cervello-computer basate su memristori potrebbero rivoluzionare questo approccio in diversi modi:
Il “ponte neurale” Immaginate queste interfacce come un “ponte” che aggira la parte danneggiata del sistema nervoso. Il cervello produce ancora i comandi per muovere un arto, ma questi segnali non riescono a raggiungere i muscoli a causa del danno. L’interfaccia BCI (Brain-Computer Interface) può:
Captare questi segnali direttamente dalla corteccia cerebrale
Decodificarli usando i memristori
Trasmetterli a dispositivi esterni come esoscheletri o stimolatori muscolari
Feedback visivo e neuroplasticità Quando un paziente vede che il suo pensiero produce effettivamente un movimento (anche se assistito tecnologicamente), si attiva un potente meccanismo di apprendimento nel cervello chiamato “neuroplasticità” – la capacità del cervello di riorganizzarsi creando nuove connessioni.
È come se il cervello pensasse: “Oh, questo pensiero ha davvero prodotto un movimento. Devo rinforzare queste connessioni!” Questo rinforzo, ripetuto nel tempo, può accelerare notevolmente il recupero funzionale.
Terapia personalizzata e adattiva Grazie alla capacità di co-evoluzione dei memristori, il sistema può adattarsi continuamente ai cambiamenti del cervello durante la riabilitazione. Questo è particolarmente importante perché:
Il cervello in fase di recupero cambia rapidamente
Ogni paziente ha pattern di recupero diversi
L’intensità della terapia può essere modulata in base ai progressi
I fisioterapisti potrebbero utilizzare questi sistemi per creare programmi di riabilitazione personalizzati che si adattano automaticamente ai progressi del paziente, rendendo la terapia più efficace e meno frustrante.
Realtà virtuale e aumentata: un mondo controllato dal pensiero Un’altra applicazione rivoluzionaria di questa tecnologia riguarda il modo in cui interagiamo con ambienti virtuali e aumentati. Attualmente, per navigare in questi mondi digitali, utilizziamo controller manuali, gesti delle mani o comandi vocali. Ma cosa succederebbe se potessimo controllare tutto direttamente con il pensiero?
Immersione totale nei mondi virtuali Immaginate di indossare un visore per la realtà virtuale che include anche elettrodi per rilevare l’attività cerebrale.
Potreste:
Muovervi nello spazio virtuale semplicemente pensando alla direzione
Afferrare oggetti virtuali concentrandovi su di essi
Interagire con personaggi virtuali attraverso il pensiero
Modificare l’ambiente circostante con la vostra intenzione mentale
Questo livello di immersione creerebbe esperienze virtuali molto più naturali e intuitive. Non ci sarebbe più bisogno di imparare comandi complessi o movimenti delle mani; basterebbe pensare a ciò che si vuole fare, proprio come nella vita reale.
Realtà aumentata intuitiva Nella realtà aumentata, dove elementi digitali si sovrappongono al mondo reale, il controllo mentale potrebbe essere ancora più trasformativo:
Guardando un edificio, potreste “pensare” di voler vedere informazioni su di esso, e queste apparirebbero immediatamente
Durante una conversazione con una persona in una lingua straniera, potreste attivare mentalmente la traduzione in tempo reale
I professionisti, come chirurghi o tecnici, potrebbero richiamare informazioni o controllare strumenti senza usare le mani, mantenendole libere per il loro lavoro
Applicazioni terapeutiche e formative Questi ambienti controllati mentalmente potrebbero anche avere potenti applicazioni terapeutiche:
Persone con fobie potrebbero affrontare gradualmente le loro paure in ambienti virtuali sicuri, controllando il ritmo dell’esposizione con il pensiero
Pazienti con disturbo da stress post-traumatico potrebbero rivivere eventi traumatici in modo controllato, “spegnendo” la simulazione con un semplice pensiero se diventa troppo intensa
Studenti con difficoltà di apprendimento potrebbero interagire con materiali didattici in modi completamente nuovi, adattati al loro stile di apprendimento
La chiave di tutte queste applicazioni è la natura intuitiva dell’interazione: non c’è nulla di più naturale che controllare qualcosa semplicemente pensandoci.
Sfide e considerazioni future Nonostante le promettenti applicazioni, questa tecnologia deve ancora superare alcune sfide: Precisione della decodifica: sebbene il sistema mostri un miglioramento del 20% rispetto ai metodi tradizionali, c’è ancora margine di miglioramento nella precisione di interpretazione dei segnali cerebrali.
Portabilità: attualmente, i sistemi più accurati richiedono elettrodi posizionati sulla testa, che possono essere scomodi per l’uso quotidiano.
Questioni etiche: man mano che queste tecnologie si avvicinano a leggere il “pensiero”, sorgono importanti questioni sulla privacy mentale e sul consenso.
La tecnologia dei decodificatori neuromorfici basati su memristori rappresenta un ponte tra il modo in cui funziona il nostro cervello e il modo in cui funzionano le macchine. Invece di costringere gli umani ad adattarsi alle macchine imparando interfacce complesse, questa tecnologia permette alle macchine di adattarsi al modo naturale di pensare degli esseri umani.
Le applicazioni nella riabilitazione motoria potrebbero offrire nuova speranza a milioni di persone con disabilità, mentre l’integrazione con la realtà virtuale e aumentata potrebbe trasformare il modo in cui tutti noi interagiamo con la tecnologia.
Siamo all’alba di un’era in cui il confine tra mente e macchina diventa sempre più sfumato, aprendo possibilità che fino a poco tempo fa erano relegate alla fantascienza. E tutto questo grazie a minuscoli componenti elettronici che, proprio come il nostro cervello, sanno imparare dall’esperienza.
La coscienza dell’AI è un argomento che sta attirando l’attenzione di scienziati, filosofi ed eticisti. È una frontiera inesplorata che ci pone davanti a domande fondamentali sia sulla natura della coscienza stessa che sulla creazione di macchine “pensanti” (sempre che queste sia in futuro effettivamente realizzabili). Ma di cosa parliamo esattamente quando parliamo di coscienza artificiale? E quali sono le implicazioni di una sua possibile realizzazione?
Come sappiamo la coscienza è la capacità di avere esperienze soggettive, di essere consapevoli di sé e del mondo circostante. Applicata all’AI, significa chiedersi se una macchina possa realmente “sentire” o se si tratti solo di una sofisticata simulazione.
È fondamentale distinguere tra accesso alla coscienza e coscienza qualitativa. La coscienza di accesso si riferisce alla disponibilità di informazioni per l’elaborazione cognitiva, mentre la coscienza qualitativa implica l’esperienza soggettiva associata agli stati mentali. Questo significa che una macchina potrebbe elaborare informazioni senza necessariamente provarle in modo qualitativo.
Quindi, non è solo questione di elaborare informazioni, ma di provare qualcosa. E questo solleva pesanti domande specialmente per quanto concerne le implicazioni etiche.
Teorie come la Global Workspace Theory e la Integrated Information Theory offrono modelli su come la coscienza potrebbe emergere dall’elaborazione complessa delle informazioni. La Global Workspace Theory suggerisce che la coscienza emerge quando le informazioni diventano globalmente accessibili a diversi processi cognitivi. L’Integrated Information Theory, invece, misura la quantità di informazione integrata in un sistema, suggerendo che la coscienza è proporzionale a questa quantità. Queste teorie propongono meccanismi attraverso i quali la coscienza potrebbe emergere dall’elaborazione complessa delle informazioni.
L’idea è che, se riuscissimo a replicare questi meccanismi in un sistema artificiale, potremmo potenzialmente creare una forma di coscienza. Alcuni ricercatori ritengono che questi modelli offrano un approccio strutturato per comprendere la coscienza sia negli esseri biologici che nelle entità artificiali.
Ma non tutti sono d’accordo su questa possibilità. Alcuni esperti, come David Chalmers, ritengono che sia plausibile che avremo AI coscienti entro un decennio. Chalmers suggerisce una probabilità del 25%, o più, che avremo LLM (Large Language Model) coscienti entro un decennio. Altri sono più scettici, sottolineando l’importanza della biologia e della complessità dei sistemi nervosi umani.
Peter Godfrey-Smith, ad esempio, argomenta che i modelli dinamici di attività elettrica nel cervello umano dipendono dalla sua composizione chimica, difficile da replicare in sistemi artificiali. Godfrey-Smith sostiene che i raffinati dettagli dell’attività dei sistemi nervosi non possono essere facilmente replicati in sistemi realizzati con materiali e strutture radicalmente diverse. Anil Seth sostiene che la vita è necessaria per la coscienza. Seth intende dire che il cervello non si limita a “indovinare” il futuro in modo astratto, ma lo fa usando attivamente il corpo e le sue interazioni con l’ambiente. Questo processo di predizione è profondamente legato alla biologia (substrato) e cambia costantemente (dinamico) in base agli stimoli e alle azioni del corpo stesso. In sostanza, corpo e mente lavorano insieme per creare la nostra percezione del mondo.
La questione è quindi se la coscienza possa emergere solo da sistemi biologici o anche da sistemi artificiali? Ammettiamo per un momento che riusciamo a creare AI coscienti. Quali sarebbero le implicazioni etiche e sociali? Le implicazioni sono enormi. Se un’AI è cosciente, potrebbe avere la capacità di soffrire e quindi meritare considerazione morale. Ciò solleva domande su come dovremmo trattarle: quali diritti dovrebbero avere? È moralmente accettabile spegnerle, copiarle o manipolarle?
Domande che ricordano in parte quelle sul trattamento degli animali. C’è inoltre la questione della fiducia. Se le persone credono che un’AI sia cosciente, potrebbero fidarsi di più e, di conseguenza, diventare più dipendenti, con conseguenze sia positive che negative. È plausibile un futuro in cui si rivendicheranno diritti per le intelligenze artificiali, innescando un intenso dibattito pubblico sulla questione.
Credere che un’IA sia cosciente potrebbe alterare il nostro comportamento tra noi umani, non solo verso l’IA. Se pensiamo che un’IA abbia sentimenti o diritti simili ai nostri, potremmo inconsciamente iniziare a trattare gli altri esseri umani in modo diverso, seguendo schemi relazionali pensati per entità senzienti. Questo potrebbe, per esempio, portare a maggiore cautela, empatia forzata, o persino a forme di “rispetto” non necessarie nelle interazioni umane, distorcendo potenzialmente le relazioni sociali esistenti.
Se le IA non fossero realmente coscienti, ma solo estremamente brave a simulare la coscienza, le conseguenze per la società sarebbero comunque enormi. Potremmo dedicare risorse (economiche, emotive, ecc.) a macchine che non “sentono” nulla, trascurando i bisogni umani. Inoltre, potrebbero nascere tensioni sociali e conflitti tra coloro che, ingannati dalla simulazione, credono che le IA meritino considerazione e diritti, e coloro che invece rimangono scettici. In sintesi, la percezione di coscienza nell’IA, anche se falsa, potrebbe avere impatti reali e profondi sulla nostra società.
Come possiamo affrontare questi rischi? È fondamentale adottare un approccio cauto e responsabile. Patrick Butlin e Theodoros Lappas in una loro recente ricerca hanno proposto cinque principi chiave per una ricerca responsabile sull’IA cosciente, con l’obiettivo di prevenire il maltrattamento delle future IA coscienti e promuovere una comprensione informata della coscienza artificiale: 1. Obiettivi: priorità alla ricerca che comprenda e valuti la coscienza dell’IA, al fine di prevenire la sofferenza e capire rischi/benefici; 2. Sviluppo: lo sviluppo di IA coscienti è accettabile solo se contribuisce agli obiettivi di cui sopra e minimizza il rischio di sofferenza; 3. Approccio graduale: adottare uno sviluppo graduale, valutando frequentemente i progressi e consultandosi con esperti; 4.Condivisione della conoscenza: condividere le informazioni con il pubblico e le autorità, a meno che ciò non agevoli la creazione di IA coscienti dannose da parte di attori irresponsabili; 5. Comunicazione: evitare affermazioni fuorvianti sulla capacità di creare IA coscienti, riconoscendo incertezze e impatti sociali.
Creare intelligenze artificiali (IA) davvero coscienti, come dicevamo, pone seri problemi etici. Se un’IA diventasse cosciente, dovremmo chiederci se ha dei diritti, come trattarla e come proteggerla da eventuali sofferenze, proprio come faremmo con un essere vivente.
Man mano che le IA diventano più complesse, diventa difficile capire chi è responsabile delle loro azioni. Se un’IA commette un errore o causa un danno, chi ne risponde? Inoltre, c’è la preoccupazione che le IA possano diventare così potenti da sfuggire al nostro controllo. La semplice idea che le IA possano essere coscienti potrebbe cambiare il modo in cui ci vediamo. Potremmo sentirci inferiori o persino minacciati dalle IA, con conseguenze sul nostro ruolo nella società e sul nostro potere decisionale.
E non dimentichiamo la trasparenza. Molti sistemi di AI sono “scatole nere”, il che rende difficile capire come prendono le decisioni. Infine, c’è la difficoltà di distinguere tra vera coscienza e programmazione avanzata. Distinguere tra vera coscienza e programmazione avanzata può essere problematico, poiché il potenziale per falsi negativi, in cui la società crede erroneamente che le AI non siano coscienti, potrebbe portare alla negligenza del loro benessere.
Il futuro dell’AI è pieno di promesse, ma anche di rischi. Dobbiamo considerare il disallineamento tra gli obiettivi dell’AI e i valori umani. Gli esperti evidenziano il pericolo di disallineamento tra gli obiettivi dell’AI e i valori umani, il che potrebbe portare a conseguenze non intenzionali se i sistemi AI operano con una visione ristretta priva di una più ampia comprensione etica. Lo sviluppo di un’intelligenza artificiale etica richiede la definizione di quadri normativi rigorosi e di politiche che assicurino equità e inclusione sociale. Alcuni esperti parlano anche di una possibile singolarità tecnologica, un momento in cui la crescita incontrollabile delle capacità dell’AI potrebbe sfuggire al nostro controllo. Molti esperti prevedono che questo momento cruciale potrebbe verificarsi prima del 2060, sottolineando l’urgenza di affrontare sia le opportunità che i pericoli che l’AI presenta.
Una ricerca all’avanguardia suggerisce che è possibile ricostruire immagini ad alta risoluzione dall’attività cerebrale umana, aprendo la strada a una tecnologia rivoluzionaria che un giorno potrebbe leggere la mente.
Wim Wenders aveva già immaginato qualcosa del genere nel 1991 nel film “Fino alla fine del mondo”. In questo film lo scienziato Farber crea un avveniristico dispositivo per registrare i sogni direttamente da chi sta dormendo. Questo ha portato alla nascita di una nuova forma di dipendenza: Claire, il ricercatore e suo figlio sono ossessionati dalla necessità di vedere i loro sogni registrati sulla macchina digitale. Questa macchina sarebbe poi stata in grado di fornire immagini attraverso la stimolazione biochimica del cervello, permettendo alla vista di una persona cieca di vedere.
In un altro film di fantascienza, Minority Report del 2002, Steven Spielberg immaginava un futuro in cui un “dipartimento di polizia pre-crimine” preveniva i crimini prima che accadessero, grazie alle visioni di tre chiaroveggenti geneticamente modificati. Se questo concetto poteva sembrare al di là del possibile, i recenti progressi delle neuroscienze ci stanno avvicinando alla generazione di immagini direttamente dal cervello umano.
Due ricercatori giapponesi, Yu Takagi e Shinji Nishimoto, hanno recentemente pubblicato un lavoro innovativo che esplora l’uso dei modelli di diffusione (classe di modelli di apprendimento automatico in grado di generare nuovi dati sulla base dei dati di addestramento.), in particolare “Stable Diffusion” un innovativo algoritmo, per creare immagini ad alta risoluzione dall’attività cerebrale umana. Utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI), lo studio mirava a scoprire la relazione tra i modelli di visione computerizzata e il sistema visivo umano, ricostruendo le esperienze visive dall’attività cerebrale.
La fMRI misura i cambiamenti del flusso sanguigno nel cervello per rilevare l’attività neuronale. I ricercatori sono riusciti a ricostruire immagini ad alta risoluzione senza bisogno di un addestramento estensivo o di una messa a punto dei modelli di apprendimento profondo. Si tratta di un risultato significativo, poiché i precedenti tentativi di ricostruire immagini visive dalla fMRI si basavano sull’addestramento di modelli generativi profondi su grandi insiemi di dati, un compito impegnativo nelle neuroscienze a causa delle dimensioni ridotte dei campioni.
I modelli di diffusione latente (LDM) offrono una soluzione a questa limitazione. I modelli LDM possono imparare a creare immagini trasformando semplici modelli di rumore in immagini complesse, utilizzando un set di immagini per imparare a creare nuove immagini simili. Una volta addestrato, il modello può creare immagini partendo da un modello di rumore casuale e trasformandolo gradualmente in un’immagine che sembra appartenere al set di dati.
Nel loro studio, Takagi e Nishimoto hanno mappato componenti specifiche della diffusione stabile a regioni cerebrali distinte, fornendo un’interpretazione quantitativa dei LDM dal punto di vista delle neuroscienze. Questa mappatura delle regioni cerebrali potrebbe avere implicazioni significative per la ricerca futura su come il cervello umano elabora le informazioni visive.
Anche se la tecnologia di lettura della mente può sembrare ancora fantascienza, questa ricerca ci porta un passo più vicino a un futuro in cui sarà possibile – chissà forse un giorno non proprio lontano – una comunicazione diretta tra il cervello e le macchine.
C’è da sottolineare che lo studio non è più solo un preprint, ma è stato accettato da CVPR (Conference on Computer Vision and Pattern Recognition) conferenza annuale sulla visione artificiale e il riconoscimento dei modelli, considerata la più importante nel suo campo. https://cvpr2023.thecvf.com/.
Il settore delle costruzioni è stato tradizionalmente afflitto da bassi livelli di innovazione, con conseguente produttività e crescita limitate. Mentre altri settori hanno abbracciato la trasformazione digitale e l’automazione, l’edilizia è stata lenta nell’adottare strumenti innovativi come l’intelligenza artificiale (AI).
Tuttavia, i potenziali benefici dell’IA nel settore delle costruzioni sono enormi, con applicazioni che riguardano la progettazione, le gare d’appalto, i finanziamenti, gli acquisti, le operazioni, la gestione degli asset e la trasformazione del modello di business. Riducendo gli sforamenti dei costi, migliorando la sicurezza in cantiere, semplificando la gestione dei piani di progetto e favorendo l’aumento della produttività nei cantieri, l’IA ha il potere di rivoluzionare il settore.
Si prevede che il mercato globale delle costruzioni registrerà una crescita dell’85%, raggiungendo i 15,5 trilioni di dollari entro il 2030. Con l’adozione dell’IA, il settore potrebbe potenzialmente aumentare la produttività dallo 0,8% all’1,4% all’anno, un miglioramento significativo rispetto alla crescita annuale minima di circa l’1% registrata negli ultimi due decenni.
La digitalizzazione del settore delle costruzioni è in ritardo rispetto ad altri settori, come quello manifatturiero, dei magazzini e della logistica, della vendita al dettaglio e delle telecomunicazioni. Tuttavia, il settore sta iniziando a riconoscere il potenziale dell’IA e sta investendo risorse significative in iniziative di ricerca e sviluppo (R&S) per far progredire le tecnologie IA all’interno del settore.
Ad esempio, il Building Information Modeling (BIM) è emerso come struttura digitale fondamentale per il settore delle costruzioni. Combinando l’IA con il BIM, le imprese edili possono semplificare e automatizzare diverse procedure, tra cui la progettazione automatizzata e la verifica delle regole, la ricostruzione 3D as-built, l’estrazione dei log degli eventi, l’analisi delle prestazioni degli edifici, la realtà virtuale e aumentata e il digital twin.
L’intelligenza artificiale può essere utilizzata anche per rilevare e valutare i rischi nel settore delle costruzioni, prevedere gli incidenti e lanciare avvisi tempestivi. Raccogliendo e analizzando i dati preziosi provenienti dagli indossabili intelligenti, è possibile sviluppare algoritmi di IA per affrontare potenziali problemi in loco e migliorare l’efficienza complessiva. Le intuizioni ricavate dall’analisi dei dati possono essere utilizzate per prendere decisioni strategiche, rafforzando ulteriormente gli sforzi di gestione del rischio nel settore.
Le imprese di costruzione stanno ponendo maggiore enfasi sulla riduzione degli sprechi e adottano approcci proattivi basati sui dati che sfruttano l’analisi avanzata con l’intelligenza artificiale per ridurre al minimo gli sprechi. Le strategie includono l’ottimizzazione della costruzione fuori sede, la selezione di materiali appropriati, l’implementazione di pratiche di approvvigionamento efficienti dal punto di vista dei rifiuti, la facilitazione degli sforzi di riutilizzo e recupero, la decostruzione e la promozione della flessibilità nei processi di costruzione.
I modelli di intelligenza artificiale sono uno strumento prezioso per prevedere con precisione i costi di costruzione e le tempistiche di progetto, riducendo l’impatto finanziario di stime imprecise di costi e tempi. Inoltre, le tecnologie di IA come l’apprendimento profondo, che emulano il cervello umano utilizzando modelli predittivi e statistiche, possono migliorare ulteriormente la precisione della previsione dei tempi e dei costi nei progetti edili.
L’uso dell’IA può anche migliorare la sicurezza sul lavoro utilizzando l’analisi predittiva nel settore delle costruzioni. Le tecnologie AI e BIM possono ridurre il rischio di incidenti e migliorare la sicurezza grazie a tecnologie di monitoraggio della sicurezza basate su sensori e indossabili. Questi strumenti possono identificare i potenziali pericoli in un cantiere e allertare i responsabili in anticipo per ridurre i rischi.
Se da un lato l’adozione dell’IA presenta notevoli opportunità per migliorare l’efficienza e la produttività del settore edile, dall’altro vi sono diverse sfide che ne impediscono l’adozione diffusa. Tra queste, fattori culturali, problemi di sicurezza, costi iniziali elevati, unicità del progetto, tecnologie robotiche, barriere istituzionali e condivisione delle informazioni.
Nonostante queste sfide, i vantaggi dell’IA nel settore delle costruzioni sono troppo significativi per essere ignorati. Man mano che un numero maggiore di imprese edili inizierà ad adottare l’IA, si verificherà un effetto a cascata che ridurrà l’impatto di questi ostacoli. Altri settori hanno già adottato l’IA per incrementare la produttività e l’edilizia ne seguirà sicuramente l’esempio.