Prima di iniziare, c’è un elemento da chiarire subito, perché rappresenta un errore che risiede nelle nostre teste: come immaginiamo un cyborg?
Di base, si immaginano i cyborg come robot umanoidi dotati di un’intelligenza artificiale super avanzata. I cyborg che popolano la nostra fantasia hanno come unico scopo nella loro infinita vita quello di sterminare la razza umana, per questioni di dominio o chissà cos’altro.
Il motivo di ciò è da imputare a film, libri e fumetti fantascientifici, spesso improntati sulla paura. Questo forse per avere più attenzione da parte dello spettatore, perché un sentimento negativo, come la paura, riesce a tenerti incollato allo schermo (o al libro, o al fumetto), al contrario –ad esempio- di un sentimento positivo, come la curiosità del futuro. Così, non ci rendiamo conto che, invece, siamo già circondati dai veri cyborg da anni.
Il transumanesimo
Facciamo un ulteriore passo in avanti e definiamo il transumanesimo: è una corrente di pensiero che propone di utilizzare in modo invasivo tutte le forme di tecnologie immaginabili (e ancora inimmaginabili) per superare i limiti umani, quali:
– invecchiamento, ovvero il deterioramento del corpo umano, che ha come conseguenza la morte;
– malattie
-mutazioni genetiche
– capacità mentali e fisiche.
Il transumanesimo è attualmente un futuro molto lontano e parecchio esasperato, ma può esserci da punto di partenza per parlare dei cyborg.
L’anno scorso, a ottobre 2016, in Svizzera, si sono tenute le Cybathlon, il primo evento sportivo orientato completamente verso atleti che usano dispositivi high-tech (protesi, esoscheletri e altri dispositivi robotici ed assistivi).
Di differenziano dalle Paralimpiadi perché non si tratta di sport “comuni” praticati da persone diversamente abili. Si tratta di discipline totalmente nuove, che spesso possono fare esclusivamente i cyborg.
Ad esempio c’è la Corsa Brain Computer Interface, dove persone che utilizzano la BCI controllano degli avatar che devono correre lungo un percorso.
Lo scopo del Cybathlon è sia di invogliare a investire sulla Ricerca in questo ambito e sia di cambiare la percezione che si ha delle persone che usano queste tecnologie, cercando di farle percepire come “normali”.
Quindi, attualmente un cyborg è una persona che usa la tecnologia per ristabilire una funzionalità persa o parzialmente danneggiata.
C’è, però, la nuova generazione di cyborg, ovvero i cyborg ricreazionali, che vogliono diventare cyborg (ad esempio aspirando ad una vista o udito perfetti) solo perché possono e vogliono farlo.
I cyborg ricreativi
L’uomo nella foto qui sopra è il professor Steve Mann, conosciuto ai più come il primo cyborg al mondo (anche se, da quanto abbiamo detto prima, possiamo intuire che questa definizione non è proprio corretta).
Se non possiamo essere sicuri di definirlo “il primo cyborg al mondo”, possiamo però essere sicuri che è stato il primo ad avere una foto sul passaporto (nel 1995) in cui appare come un cyborg.
Steve Mann non è un novellino: ha iniziato a lavorare su dispositivi indossabili già quando frequentava il liceo, negli anni ’80. All’epoca già lavorava un “occhio digitale”.
L’IEEE, ovvero l’Institute of Electricaland Electronics Engineering ha definito Steve Mann come il padre della realtà aumentata e dei dispositivi elettronici indossabili.
Avete presente l’HDRI (High Dynamic Range Imaging)? l’ha inventata lui.
L’ Eyetap digital eye glass. E’ un dispositivo in grado di catturare tre immagini simultaneamente a diverse esposizioni. Le immagini vengono combinate insieme in real time per produrre una visione del mondo che ha una ricchezza di dettagli irraggiungibili per l’occhio umano. Quindi, con questi occhiali, Steve Mann vede dettagli che normalmente nessuno vede.
Il passo successivo che sta portando avanti è di inserire questo sistema (con una telecamera) dentro un occhio prostetico.
E, a proposito di telecamere, qui si aprirebbe anche tutto il discorso delle registrazioni effettuate con questi dispostivi. Mann (e molti altri) dicono che queste registrazioni si possono paragonare alla memoria umana, mentre molti altri dicono che il paragone non sussiste.
L’uomo con più sensori addosso
Pensate sia troppo? Spingiamoci un po’ oltre: parliamo di Chris Dancy, considerato “l’uomo più connesso al mondo”.
Ha centinaia di sensori addosso, che acquisiscono dati in tempo reale sulle più svariate informazioni. Lui afferma di utilizzare questi dati al solo scopo di migliorare le sue abitudini. Pensate che ha perso anche 45kg.
E’ convinto che questo sia il futuro; afferma che bisogna ancora capire come utilizzare al meglio queste informazioni, ma è convinto che in un futuro non troppo lontano, le persone misureranno più dati possibili riguardo il loro stato di salute, o lo stato dell’ambiente in cui vivono.
Quindi, non solo i cyborg sono già tra noi, ma a quanto pare sarà sempre più possibile aumentare le proprie capacità fisiche e mentali, proprio come vuole il transumanesimo.
L’utilizzo della blockchain nell’ambito della realtà mista ne potrebbe uteriormente favorire l’adozione.
Spesso e volentieri, le migliori innovazioni nel settore tecnologico nascono dalla “contaminazione” tra due branche che, almeno apparentemente, hanno poco a che fare l’una con l’altra. Succede così, ad esempio, che la realtà aumentata e la realtà virtuale potranno trovare un inaspettato alleato nella blockchain.
La tecnologia fondante dei Bitcoin, secondo diversi esperti, potrebbe fornire alle applicazioni della realtà virtuale e della realtà aumentata quell’ulteriore spunto necessario per diventare nel lasso di tempo più breve possibile il nuovo fenomeno economico-commerciale dell’universo hi-tech.
A beneficiarne, in particolare, dovrebbe essere la cosiddetta mixed reality, ovvero l’unione in un unico prodotto delle tecnologie alla base della realtà virtuale e di quella aumentata. Grazie alla blockchain, infatti, si potrebbero aprire nuovi scenari per la monetizzazione di particolari applicazioni della realtà mista; oppure incrementare il livello di sicurezza in alcuni casi di utilizzo molto particolari questa tecnologia.
Si tratta, al momento, di scenari ipotetici e in piena fase di sviluppo che, però, nei prossimi mesi e anni potrebbero entrare a far parte della nostra quotidianità. Meglio, insomma, farsi trovare preparati.
Nuove forme di monetizzazione
La blockchain, con la sua enfasi su sicurezza, decentralizzazione e indipendenza da grandi centri di controllo, può aiutare le piccole e piccolissime imprese e freelance (come sviluppatori indipendenti, ad esempio) a essere remunerati più facilmente per il lavoro o le prestazioni professionali che svolgono.
La realtà virtuale, da qui a qualche anno, permetterà di assistere a concerti e altri spettacoli dal vivo anche se ci si trova a centinaia o migliaia di chilometri di distanza dal luogo dove si sta svolgendo l’esibizione. Grazie alla blockchain, questi artisti potranno essere pagati in maniera sicura e istantanea, accettando pagamenti in Bitcoin o una delle tante altcoin oggi disponibili sul mercato.
Ma la blockchain potrebbe tornare utile anche a un artista – pittore, ceramista o scultore – che vorrebbe vendere le sue opere senza essere costretto a rivolgersi a gallerie private o case d’asta. Sarà sufficiente creare un tour virtuale e a 360 gradi della propria esposizione per accogliere, grazie a visori VR, possibili acquirenti da tutto il mondo. Legando questa esperienza VR alla blockchain, l’artista potrà essere pagato in criptovaluta nel momento stesso in cui l’acquirente sceglie la propria opera.
Metodo anticontraffazione
Come dimostrato dall’apertura del primo punto vendita di Amazon Go (o da vari esperimenti condotti da tempo in Giappone) il futuro dei punti vendita (siano essi supermarket, centri della grande e piccola distribuzione, negozi di elettronica o abbigliamento) è virtuale. Nel senso che gli utenti potranno entrare, fare compere come sempre e poi uscire dal negozio senza esser costretti a fermarsi alla cassa: un sistema di scansione automatica basato su chip RFID ed NFC, infatti, terrà conto di ciò che mettete nel carrello e stabilirà il totale senza che ci sia bisogno di un cassiere o un addetto del punto vendita. Il pagamento, ovviamente, sarà contactless via smartphone o carta di credito.
In questo scenario, la blockchain garantirà sia i pagamenti, sia l’origine di quello che state acquistando. Grazie a visori AR, infatti, si potrà controllare l’origine della mela o delle fettine che si stanno per acquistare (allevatore o coltivatore, a seconda dei casi) o il produttore del divano che si vorrebbe tanto al centro del proprio salotto.
Da gioco a realtà
I videogame sono, al momento, una delle applicazioni più promettenti (e sviluppate) della realtà virtuale. Grazie alla blockchain, i mondi virtuali nei quali ci si ritrova a videogiocare potrebbero somigliare sempre più al mondo reale nel quale si vive? senza visore. La tecnologia alla base dei Bitcoin, infatti, permetterebbe di fare acquisti in-app tracciati e sicuri, ma consentirebbe allo stesso tempo di verificare l’identità degli avatar che ci si trova di fronte, avendo così la certezza che non si tratti di un bot creato da un computer o di un truffatore. La combinazione di grafica tridimensionale, visori e periferiche VR e della blockchain potrebbe rendere sempre più complessi i mondi virtuali all’interno dei quali si svolgono le avventure videoludiche, trasformandoli in un “analogo virtuale” del mondo reale.
Una nuova realtà
Le potenzialità della blockchain e le sue applicazioni, però, sono virtualmente infinite. Applicandola ai settori più svariati, potrebbe permettere di riequilibrare l’economia reale, slegandola dalle logiche di controllo di istituzioni centrali nazionali e sovranazionali e favorendo lo sviluppo di economie “peer-to-peer” sempre più avanzate e complesse. La nostra stessa vita sociale potrebbe essere rivoluzionata dalla combinazione di mixed reality e blockchain: potendo verificare istantaneamente l’identità degli avatar con cui si hanno relazioni nel mondo della realtà virtuale, si potrebbero avere meno timori su possibili truffe o tentativi di social engineering o phishing.
For the past several years, Magic Leap’s augmented reality device has been fervently anticipated due to the various claims made about the company’s technology. However, as 2017 ends, the startup has yet to unveil a product, though a new report today details one app that showcases Magic Leap’s capabilities.
Magic Leap — in partnership with band Sigur Rós — teased an augmented reality app today. This visual “audiovisual project” uses mixed reality (Magic Leap’s branding for AR) to visualize music.
Running at 8-10 minutes, the app is called Tónandi and Pitchfork has published several screenshots of the experience.
I see a group of little sprites floating around in front of me. The jellyfish-like creatures seem to match the waveform of the music I’m hearing through headphones. Encouraged to explore with my hands, I reach out, causing the waveforms to alter shape—both visually and in the audio playback, like a SoundCloud embed that’s somehow alive, three-dimensional, and responding to my movements. After initial sheepishness, I chase these non-existent tónandi like a clumsily psychotic bear in a very expensive gadget shop.
During the demo, the experience is able to adjust for the environment that the wearer is in:
The real-world demo space I’m in is decorated to resemble a living room, and the tónandi adjust to account for a table with oversized hardcover book on top of it.
Whatever I’m seeing, it isn’t just something pasted over my surroundings, but something that acknowledges those surroundings, and therefore seems more real.
Magic Leap’s strict non-disclosure agreement applies to the Pitchfork piece, however, we do get some hints. The piece — while taking about augmented reality headsets in general — notes narrow field of views, as well as the need for devices to connect to a battery pack for the foreseeable future.
The latter aspect lines up with a Business Insider report from February that notes how the current prototype features two packs for a battery and a processing unit that connect to the headset via a wire
In terms of launch, the report only notes how Tónandi might be available to download on Magic Leap “someday,” while the app “feels like it’s nearly ready for public consumption.”
The augmented reality startup has been working on this experience for four years. Besides massive funding from Google and venture capitalists, Magic Leap has been able to strike major partnerships with Lucasfilm and ILMxLAB in 2016 and with Peter Jackson’s visual effects company.
Today’s glimpse into Magic Leap seems to reaffirm how the company might be addressing AR’s content problem.
Our solar system now is tied for most number of planets around a single star, with the recent discovery of an eighth planet circling Kepler-90, a Sun-like star 2,545 light years from Earth.
The planet was discovered in data from NASA’s Kepler space telescope. The newly-discovered Kepler-90i — a sizzling hot, rocky planet that orbits its star once every 14.4 days — was found by researchers from Google and The University of Texas at Austin using machine learning.
Machine learning is an approach to artificial intelligence in which computers “learn.” In this case, computers learned to identify planets by finding in Kepler data instances where the telescope recorded signals from planets beyond our solar system, known as exoplanets.
“Just as we expected, there are exciting discoveries lurking in our archived Kepler data, waiting for the right tool or technology to unearth them,” said Paul Hertz, director of NASA’s Astrophysics Division in Washington.
“This finding shows that our data will be a treasure trove available to innovative researchers for years to come.” The discovery came about after researchers Christopher Shallue and Andrew Vanderburg trained a computer to learn how to identify exoplanets in the light readings recorded by Kepler – the minuscule change in brightness captured when a planet passed in front of, or transited, a star.
Inspired by the way neurons connect in the human brain, this artificial “neural network” sifted through Kepler data and found weak transit signals from a previously-missed eighth planet orbiting Kepler-90, in the constellation Draco. While machine learning has previously been used in searches of the Kepler database, this research demonstrates that neural networks are a promising tool in finding some of the weakest signals of distant worlds.
Other planetary systems probably hold more promise for life than Kepler-90. About 30 percent larger than Earth, Kepler-90i is so close to its star that its average surface temperature is believed to exceed 800 degrees Fahrenheit, on par with Mercury.
Its outermost planet, Kepler-90h, orbits at a similar distance to its star as Earth does to the Sun. “The Kepler-90 star system is like a mini version of our solar system. You have small planets inside and big planets outside, but everything is scrunched in much closer,” said Vanderburg, a NASA Sagan Postdoctoral Fellow and astronomer at the University of Texas at Austin. Shallue, a senior software engineer with Google’s research team Google AI, came up with the idea to apply a neural network to Kepler data.
He became interested in exoplanet discovery after learning that astronomy, like other branches of science, is rapidly being inundated with data as the technology for data collection from space advances. “In my spare time, I started googling for ‘finding exoplanets with large data sets’ and found out about the Kepler mission and the huge data set available,” said Shallue.
“Machine learning really shines in situations where there is so much data that humans can’t search it for themselves.” Kepler’s four-year dataset consists of 35,000 possible planetary signals. Automated tests, and sometimes human eyes, are used to verify the most promising signals in the data. However, the weakest signals often are missed using these methods. Shallue and Vanderburg thought there could be more interesting exoplanet discoveries faintly lurking in the data.
First, they trained the neural network to identify transiting exoplanets using a set of 15,000 previously-vetted signals from the Kepler exoplanet catalogue. In the test set, the neural network correctly identified true planets and false positives 96 percent of the time. Then, with the neural network having “learned” to detect the pattern of a transiting exoplanet, the researchers directed their model to search for weaker signals in 670 star systems that already had multiple known planets. Their assumption was that multiple-planet systems would be the best places to look for more exoplanets.
We got lots of false positives of planets, but also potentially more real planets,” said Vanderburg. “It’s like sifting through rocks to find jewels. If you have a finer sieve then you will catch more rocks but you might catch more jewels, as well.” Kepler-90i wasn’t the only jewel this neural network sifted out. In the Kepler-80 system, they found a sixth planet. This one, the Earth-sized Kepler-80g, and four of its neighboring planets form what is called a resonant chain – where planets are locked by their mutual gravity in a rhythmic orbital dance.
The result is an extremely stable system, similar to the seven planets in the TRAPPIST-1 system. Their research paper reporting these findings has been accepted for publication in The Astronomical Journal. Shallue and Vanderburg plan to apply their neural network to Kepler’s full set of more than 150,000 stars. Kepler has produced an unprecedented data set for exoplanet hunting.
After gazing at one patch of space for four years, the spacecraft now is operating on an extended mission and switches its field of view every 80 days. “These results demonstrate the enduring value of Kepler’s mission,” said Jessie Dotson, Kepler’s project scientist at NASA’s Ames Research Center in California’s Silicon Valley.
“New ways of looking at the data – such as this early-stage research to apply machine learning algorithms – promises to continue to yield significant advances in our understanding of planetary systems around other stars. I’m sure there are more firsts in the data waiting for people to find them.”
Ames manages the Kepler and K2 missions for NASA’s Science Mission Directorate in Washington. NASA’s Jet Propulsion Laboratory in Pasadena, California, managed Kepler mission development. Ball Aerospace & Technologies Corporation operates the flight system with support from the Laboratory for Atmospheric and Space Physics at the University of Colorado in Boulder. This work was performed through the Carl Sagan Postdoctoral Fellowship Program executed by the NASA Exoplanet Science Institute.
“Il futuro dell’energia è digitale e l’energia è il prossimo settore in cui la disruption digitale colpirà. L’energia digitale è il fattore abilitante l’ecosistema dei prodotti e servizi smart che caratterizzano le reti, i sistemi energetici e produttivi”. Con queste parole Vittorio Chiesa, direttore dell’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano, ha presentato il Digital Energy Report.
Ma cosa si intende per Digital Energy? Quali sono i benefici che derivano dalla su adozione?
Digital Energy Report ha come obiettivo quello di analizzare le conoscenze e le competenze per comprendere la reale portata della digitalizzazione nell’ambito energetico nei diversi ambiti: Smart Energy & Grid, Smart Manufacturing e Smart Building.
Si sente ormai spesso parlare di Digital Energy indicando la possibilità di utilizzare le tecnologie digitali per il controllo dei consumi di energia. Ma in realtà è molto di più. L’uso delle tecnologie digitali coinvolge tutta la filiera dell’energia, dalla produzione alla vendita.
Parlare di digital energy significa parlare di architetture complesse che oltre ai sistemi per il monitoraggio e l’azionamento dei diversi impianti energetici includono i sistemi di trasmissione dei dati e l’intelligenza necessaria alla loro elaborazione.
“Le sfide della digital energy sono molte – spiega Vittorio Chiesa -, sia sul piano tecnologico, sia soprattutto sul piano dei modelli di business vincenti”.
I tre paradigmi della Digital Energy:
Smart Energy & Grid
– Rientrano in questo ambito le applicazioni implementabili sia nella generazione di fonti tradizionali, sia rinnovabili che consentono lo sviluppo di reti intelligenti in grado di sfruttare al meglio la produzione non programmata.
La scelta di soluzioni digitali è vincente, non soltanto per il gestore dell’impianto, ma anche per il sistema elettrico che guadagna in termini di affidabilità e flessibilità.
Smart Manufacturing
– Rientrano le applicazioni IT dedicate al mondo industriale per una gestione ottimizzata dei processi produttivi. In questo caso le tecnologie digitali garantiscono una produzione automatizzata e interconnessa.
Il Piano Industria 4.0 ha lo scopo di stimolare la trasformazione digitale delle imprese manifatturiere, rendendole competitive in un mercato in continua evoluzione. Le tecnologie abilitanti spaziano dalla raccolta dati, alla robotica, all’automazione avanzata.
Smart Building
– Rientrano le soluzioni digitali per la gestione automatica di impianti, come quelli per l’illuminazione e la climatizzazione, con particolare attenzione al monitoraggio in ottica di risparmio energetico e sicurezza delle persone. Il mondo digitale incontra quello dell’efficienza energetica: monitoraggio, controllo e regolazione che determinano il funzionamento ottimale degli impianti. Il flusso di energia, inoltre, genera un flusso di dati che apre a servizio come la manutenzione predittiva.
Le soluzioni digitali per lo Smart Building rappresentano un primo e importante passo di efficientamento di un parco edifici che come sappiamo è decisamente vecchio e con impianti obsoleti.
Le tecnologie per la Digital Energy
Gli apparati fisici che abilitano la trasformazione digitale sono prodotti interconnessi, intelligenti che offrono nuove funzionalità. Comunemente vengono chiamati IoT, Internet of Things. La vera innovazione non consiste nella connettività dell’oggetto, ma nella possibilità di interagire con altri oggetti o con l’uomo.
Le capacità dei prodotti interconnessi spaziano dal più semplice monitoraggio delle condizioni di funzionamento, con la segnalazione di eventuali anomalie, al controllo, dall’ottimizzazione, fino allo sviluppo di una certa autonomia del prodotto.
A fine 2015 sono stati stimati circa 18 miliardi di oggetti connessi e intelligenti e nel 2010 saranno 50 miliardi.
This is certainly no surprise, but just the same, we can confirm that Google is officially ending its support for Project Tango and other Tango-related products. Instead, the mothership is going to move forward in the realm of augmented reality (AR) with its new ARCore platform. We wondered what would become of Tango in the long run when Google announced ARCore, and now that question is officially answered.
Google started dabbling in AR with Project Tango a couple of years back. But the efforts never really got the traction it needed with manufacturers since the platform was very specific on hardware. The furthest Project Tango got was being released in devices like the Lenovo Phab 2 Pro and the ASUS ZenFone AR. But because of the lack of support for the platform on multiple fronts, Google has come to its decision – it will end support for Tango by March 1, 2018.
In ARCore, however, Google has found an AR platform for phones that did not require very specific hardware. When ARCore was launched, it was akin to being able to bring AR for the masses – even lower tier devices. And so Google has opted to move forward in the realm of augmented reality with ARCore, as it has found more support from manufacturers and developers.