Google supera Apple in borsa come azienda tecnologica

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In questo momento se chiedete a google now la quotazione Apple vi viene restituita la risposta vocale di 399.74 dollari mentre Google viene scambiato a 874.29 dollari. Con queste cifre, in base a questo osservato dalWall Street Journal, l’enterprise value di Apple è di  223 miliardi di dollari, inferiore a quello di Google che ora è di 241 miliardi di dollari. Come viene calcolata questa cifra?

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L’enterprise value di una società quotata è un indicatore molto utilizzato nell’analisi finanziaria che individua il valore complessivo di una società, in pratica corrisponde alla capitalizzazione di borsa del titolo quotato (ricavabile come prodotto tra il prezzo corrente di un titolo e il numero di azioni che compongono il capitale sociale). A tale valore è necessario poi aggiungere l’indebitamento finanziario netto.

È da tenere presente che Apple rimane l’azienda tecnologica con maggior valore al mondo  grazie alla sua immensa quantità di denaro liquido che ha a disposizione l’azienda. Inoltre il mercato azionario è estremamente volubile e basta poco per far crollare il prezzo di un titolo anche in un solo giorno. Rimane comunque una svolta epocale (o comunque importante) che spingerà entrambe le aziende nei prossimi mesi ad innovare e a proporre sul mercato prodotti sempre più interessanti per noi consumatori finali.

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Google Apps Script per i workflow aziendali

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La piattaforma GoogleApps mette a disposizione dei suoi utenti uno strumento flessibile e versatile per creare workflow, (con vari livelli di complessità), e realizzare procedureautomatiche in poco tempo: Google Apps Script.

Google ha pubblicato API per tanti servizi, siano essi lato utente (Calendar, Drive, Gmail) che amministrativi (Domain service Api), ed un editor online del codice semplice ma completo. Il linguaggio utilizzato negli Apps script è, come immaginato, Javascript, con la possibilità di inserire librerie per espandere il set funzionale originario dello strumento.

 

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Apps Script si configura quindi come un linguaggio facile da utilizzare e molto integrato in tutta la suite di messaggistica e collaborazione: il suo punto di forza è sicuramente rappresentato dalla possibilità di aggiungere funzionalità non previste o non ancora presenti nei prodotti Apps e di automatizzare alcuni task di utilizzo frequente  risolvendo in modo intelligente, e senza appoggiarsi a tool esterni, problemi quotidiani.

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I cinque Principi dell’Open Data Charter

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l mondo sta assistendo alla crescita di un movimento globale facilitato dalla tecnologia e dai social media. Gli Open data risiedono al centro di questo movimento globale. L’accesso ai dati consente agli individui e alle organizzazioni di sviluppare nuove conoscenze e innovazioni che possono migliorare la vita degli altri e contribuire a far crescere il flusso di informazioni all’interno e tra i paesi.

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Diverse città che saranno presenti a SMART CITY EXHIBITION 2013 stanno affrontando il tema degli open data. Per esempio il Comune di Bologna pubblica online una parte dei propri dati in formato aperto, puntando sulla trasparenza e la partecipazione attiva dei cittadini con lo scopo di permettere ad aziende, associazioni e cittadini di utilizzare e valorizzare i dati dell’ Amministrazione, migliorando l’accessibilità delle informazioni e sviluppando nuove applicazioni a beneficio di tutta la comunità. Anche il Comune di Milano a tal proposito si è mosso lanciando il concorso App4Mi con l’obiettivo di stimolare lo sviluppo di applicazioni che facilitino l’accesso al patrimonio informativo pubblico della città accrescendone la trasparenza e aumentando al contempo il numero e il livello dei servizi digitali ai cittadini.

Tante sono poi le esperienze che utilizzano gli open data a livello territoriale come l’eccellente iniziativa di  Open Ricostruzione, piattaforma che consente di tenere traccia di tutti i soldi (donazioni e finanziamenti) messi a disposizione dell’Emilia affinché ci sia una ricostruzione trasparente, partecipata e intelligente dei comuni colpiti dal sisma del 2012.

Se a livello territoriale si moltiplicano le inizative, dal livello internazionale  arrivano alcune direttive e indicazioni chiare.

Infatti, Il G8 la scorsa settimana ha redatto 5 principi per l’adozione di Open Data in un testo.

Nel testo si riconosce come oggi le persone si aspettano di essere in grado di accedere alle informazioni e ai servizi per via elettronica, quando e come vogliono. Siamo arrivati ad un punto di non ritorno, annunciando una nuova era in cui le persone possono utilizzare dati aperti per generare intuizioni, idee e servizi per creare un mondo migliore per tutti.
Open data  significa anche aumentare la consapevolezza su come vengono utilizzate le risorse naturali dei paesi, su come sono spesi i ricavi estrattivi,  su come tenere l’inquinamento sotto controllo.

Tuttavia, abbiamo visto quanto sia difficile per i governi abbracciare questa cultura. Nel momento in cui ci troviamo ad affrontare una crisi di fiducia nella governance pubblica e privata, i dati aperti possono aiutare a costruire la fiducia a lungo termine, ma questo richiederà anche impegni per la qualità e l’usabilità.

Per questo i 5 principi dovrebbero aiutare ad andare in questa direzione :

> Open Data by default

> Qualità e Quantità di dati

> Utilizzo da parte di tutti

> Open Data per il miglioramento della governance

> Open data  per l’Innovazione
 

I membri del G8 saranno, entro la fine di questo anno, impegnati a  sviluppare piani d’azione, al fine di attuare la Carta e l’allegato tecnico per la fine del 2015 al più tardi.

E l’ Italia come si posiziona rispetto al tema? L’Italia è al settimo posto su otto su Open data secondo il rapport di Open Knowledge Foundation

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Watts: “In viaggio tra i misteri di Wall Street e di Dan Brown”

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Tutti se lo sono chiesto, prima o poi. A cominciare da chi ha perso la casa e da chi ha visto svanire il gruzzoletto dei risparmi. Negli Usa e nel mondo. Cos’è successo quel giorno del 2008 in cui la Lehman Brothers fallì, innescando una crisi globale che non si è più fermata e che ancora oggi, cinque anni dopo, non smette di sconvolgere le quotazioni delle Borse e le esistenze di miliardi di individui?

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 Una possibile risposta la sta cercando un fisico americano di origini australiane con il background del sociologo e l’entusiasmo caratteristico di chi frequenta la dimensione del «Big Data», quella dei grandi numeri macinati dalle reti dei computer. Si chiama Duncan Watts ed è uno dei cervelli al lavoro nei laboratori newyorchesi della Microsoft. «Qui – spiega – al Big Data intrecciamo la data science, il machine learning e la computational social science». E’ questa triade che fa vibrare la realtà parallela di Watts: software con l’ambizione di approssimarsi alle logiche umane e super-calcolatori che elaborano informazioni che nessuna mente biologica riesce a reggere. Il tutto organizzato in modelli che devono proiettare l’ombra di un possibile (e rassicurante) ordine su un presente che, al contrario, appare terribilmente caotico. 

 

Ed è sempre quella triade ad averlo reso un personaggio anche tra chi non si sente a proprio agio con gli algoritmi: è lui, infatti, ad aver ripescato, trasformato e popolarizzato l’ormai famosa «Teoria dei sei gradi separazione», la seducente ipotesi formulata per la prima volta nel 1929, secondo la quale ognuno di noi può essere collegato a qualunque altra persona attraverso una catena di conoscenze con non più di cinque intermediari. Come dire che la distanza tra un povero e un ricco, tra un signor qualunque e una star del cinema è meno abissale di quanto si pensi. E non a caso Watts ha scritto anche un saggio molto dibattuto – «Tutto è ovvio una volta che sai la risposta» – per darci uno scossone e spiegare che il senso comune non aiuta granché, né a decifrare le scelte degli investitori né a capire il fascino morboso esercitato da Monna Lisa. E’ ora – suggerisce – di guardarci intorno con occhi diversi. Sia con la creatività delle scienze sociali computazionali sia con il rigore delle loro formule.

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Big Data per viaggiare meglio

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Come già succede in altri settori, l’industria dei viaggi si trova oggi davanti a una sfida in cui le aziende devono fare dei Big Data la loro priorità al fine di sfruttare quanto più possibile i vantaggi che possono derivare dal loro uso per garantire migliori servizi ai viaggiatori.

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Dalla ricerca “At Big Data Crossroads: turning towards a smarter travel experience”, commissionata da Amadeus – specializzato in tecnologie avanzate per il turismo – e svolta da Thomas H. Davenport, professore della Harvard Business School, emerge che le nuove tecnologie e le strategie di gestione dei Big Data possono controllare grandi volumi di dati focalizzando così l’attenzione sulle esigenze e sulle preferenze dei clienti e non sui processi industriali. 

 

L’autore dello studio, ha dichiarato: “L’industria dei viaggi si trova a dover affrontare l’evoluzione dei Big Data, con le nuove tecnologie e soluzioni che offrono il potenziale per gestire volumi sempre maggiori di dati, garantendo profitti più elevati e operazioni più efficienti. Le principali aziende stanno sperimentando l’uso di Big Data, raggiungendo già ottimi risultati. È importante per le compagnie aeree, aeroporti, hotel, aziende ferroviarie e fornitori di viaggio chiedersi se hanno a disposizione una strategia di Big Data, e se si consentirà loro di essere in prima linea in questa occasione.” 

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Microsoft e Oracle, amiche per il cloud

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Le due corporation annunciano una partnership di mutuo supporto per i rispettivi software, con tanto di certificazioni per far girare Java e compagnia sulla piattaforma di cloud computing made in Redmond.

 

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Microsoft e Oracle annunciano l’avvio di una nuova partnership all’insegna del cloud computing, un accordo che porta il software Oracle sulle piattaforme cloud di Redmond con tanto di certificazioni e supporto garantito. Ne beneficeranno i clienti, assicura Microsoft.

L’intesa è di quelle importanti, non a caso annunciate in una conference call dal dinamico duo Steve Ballmer (CEO Microsoft) e Mark Hurd (presidente Oracle): il software Oracle è ora certificato ufficialmente per girare su Windows Server, piattaforma Azure e sotto ipervisore "cloud" Hyper-V di Microsoft, così come Oracle Linux entra a far parte dei sistemi operativi supportati sui server virtuali gestiti dal succitato Hyper-V.

La partnership fra Microsoft e Oracle prevede la certificazione e il supporto dei rispettivi prodotti software, e Java – Microsoft tiene a rimarcarlo – è ora un componente "di prima classe" della piattaforma Azure grazie all’adozione dello stack Java ufficiale di Oracle – contro i precedenti SDK open source forniti da Redmond – con tanto di middleware

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