Scandalo Prism, il lato oscuro del data mining
“Lo sfruttamento aggressivo dei dati intercettati, che una volta era non solo accettato ma anzi richiesto, ora diventa materia di obiezioni e controversie. Così le agenzie governative che prima venivano criticate perché non facevano abbastanza, ora vengono criticate perché la fanno troppo”, scrive su The National Interest l’ex vice direttore della Cia Paul Pillar, per spiegare le oscillazioni del pendolo dell’opinione prevalente in materia di sicurezza e privacy.
La cosa a cui si riferisce l’ex dei servizi segreti – protagonista ai tempi della guerra in Iraq di aspre polemiche con l’allora presidente George Bush – è il data mining, l’analisi dei Big Data. Il procedimento, cioè, con cui una gigantesca mole di dati viene analizzata automaticamente allo scopo di scovare tracce potenzialmente interessanti, collegamenti o anomalie. Nel recente scandalo Prism e le tentacolari intercettazioni della Nsa questo è l’aspetto che sembra aver maggiormente inquietato l’opinione pubblica americana, più che non eventuali – ancora indimostrate – violazioni di legge.
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