Booktab, come trasformare un libro scolastico in una app

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Secondo l’Agenda digitale, entro quest’anno tutti i testi dovranno avere una versione interattiva. 

digital publishing‘s insight:

Entro quest’anno scolastico tutti i libri acquistati dagli studenti dovranno avere un versione digitale, secondo quanto previsto dall’ Agenda digitale. Non un comune pdf, ma un ebook interattivo. È su questo che punta per far crescere ancora il proprio business l’ex startup Dudat, nata nel 2003 con l’obiettivo di creare prodotti e piattaforme digitali. Dall’inizio del 2012 Dudat infatti è attiva con un progetto di migrazione dei testi scolastici che consente agli editori di creare, o semplicemente pubblicare tutti i propri testi all’interno dell’app Booktab. Questa consente allo studente di sincronizzare la propria attività, dai compiti alle sottolineature, fra computer e tablet. Da settembre 2012 hanno utilizzato Booktab circa 15mila utenti fra studenti e docenti, ma a catalogo lo scorso anno c’erano ancora pochi libri, ci ha spiegato Fabio Fellini, uno dei tre co-fondatori di Dudat: “ Quest’anno abbiamo circa 300 titoli e ci aspettiamo molti più utenti”.

A che punto siamo con la digitalizzazione dei testi scolastici?

"Grosso modo il 100% delle novità e il 70% dei testi in uso hanno una versione digitale, ma entro l’anno scolastico corrente dovranno tutti essere a norma".

Che uso viene fatto di questi prodotti?

"Nella migliore ipotesi ci sono studenti che usano solo libri digitali e lo fanno esattamente come prima si faceva con il libro di carta. Ci sono alcune sperimentazioni con circa 200 classi in Italia che fanno così. Nelle altre classi molto dipende dai docenti, che devono compiere una scelta precisa nell’adozione del testo".

Cosa offre in più un libro digitale?

"Ci sono espansioni che mancano in quello di carta. Nella versione digitale le cinque immagini che un libro normale utilizza per spiegare un concetto vengono sostituite da photogallery, animazioni e video, con un audio che approfondisce i temi principali".

Studiare su un tablet non mette l’alunno a continuo rischio di distrazione?

"Per i nativi digitali, a livello di distrazioni, non c’è differenza: se non ricevono le notifiche dal tablet le ricevono dallo smartphone".

Qual è il vostro modello di business?

"Ci occupiamo di editoria dal 2007, ma Booktab è stato reso pubblico solo nel 2012. Lo studente non paga nulla, i nostri clienti sono gli editori che ci pagano per mettere i loro testi a disposizione nella nostra app o per creare l’edizione digitale di un loro volume. Gli editori di scolastica sono pochi, quindi conquistare un singolo editore per noi significa aggiungere svariati libri. Gli editori importanti in Italia sono una decina e noi lavoriamo con sei di loro, tre dei quali costituiscono l’80 per cento del mercato".

Rimarrete in Italia o pensate a un mercato globale?

"Abbiamo avuto qualche contatto con Inghilterra e Portogallo, ma per il momento siamo concentrati sull’Italia perché il mercato qui è accelerato molto dalla normativa, mentre nel resto d’Europa c’è più libertà. Inoltre in Italia essendoci pochi editori c’è una particolare concorrenza e questo si concretizza con una rincorsa alla creazione di contenuti originali, sia per la carta che a maggior ragione per il digitale".

Chi sono i vostri concorrenti e perché il vostro prodotto dovrebbe essere migliore?

"Il nostro principale rivale è Scuolabook, che è stato il primo sul mercato, ma all’inizio distribuiva solo PDF da sottolineare. Ce ne sono poi altri, ma non hanno quote di mercato rilevanti o non offrono il servizio via tablet".

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Editoria, Legnini: Come in Francia

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‘Avvieremo un tavolo con Google per trovare un compromesso come in Francia’

digital publishing‘s insight:

Ma su questa ipotesi il presidente dell’Antitrust Pitruzzella ha espresso forti perplessità, sostenendo che non sarebbe ‘compatibile con i principi concorrenziali’. Meglio una Legge come in Germania.

 

Il Rapporto FIEG, che illustra lo stato della stampa italiana dal 2010 al 2012, evidenzia un quadro desolante per l’editoria italiana e la necessità di urgenti interventi per porre riparo a una situazione che produrrà conseguenze economiche a catena per tutta la filiera (Leggi Articolo Key4biz).

Il governo ha cominciato a fare i primi, seppur ancor timidi, passi per gestire i problemi del settore e avviare iniziative atte a fronteggiare la crisi.
Il Sottosegretario all’Editoria, Giovanni Legnini, intervenuto stamani alla presentazione del Rapporto FIEG e, in merito alla relazione tra giornali e web company ha dichiarato che “Il modello francese mi convince molto. Puntiamo a un modello negoziale”.

La Francia ha, infatti, trovato una soluzione di compromesso alla querelle che opponeva gli editori a Google, in merito agli articoli indicizzati dal motore di ricerca per i quali la compagnia americana non pagava alcuna royalty. La soluzione è stata la creazione di un fondo da 60 milioni di euro – interamente finanziato da Google – per i progetti d’innovazione tecnologica degli editori (Leggi Articolo Key4biz).

Un modello negoziale che piace appunto al Sottosegretario all’Editoria, che stamani ha annunciato che sarà avviato un tavolo con i motori di ricerca per tentare di ottenere un loro contributo per il settore come in Francia. Legnini ha poi precisato che “le risorse vanno recuperate muovendosi nel campo dell’editoria, guardando ai comparti che presentano il segno più”.

Sull’argomento è intervenuto nei giorni scorsi anche il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella che invece reputa che per l’Italia una soluzione alla francese non sembrerebbe compatibile con i principi concorrenziali (Leggi Articolo Key4biz). Il presidente dell’Autorità vedrebbe meglio una legge su modello di quella tedesca che assegna agli editori l’esclusivo uso commerciale dei loro contenuti digitali. Le norme non si estendono ai cosiddetti ‘snippets’ (stralci dei testi giornalistici) (Leggi Articolo Key4biz).

Ieri pomeriggio, intanto, Legnini ha riunito in un apposito tavolo editori e giornalisti con l’obiettivo di rifinanziare le misure della legge 416 ma anche di affiancare una serie d’interventi a favore di nuovi ingressi occupazionali, soprattutto dei giovani, secondo la linea generale del governo.

Legnini ha ammesso la presenza di segnali contradditori nei primi atti di Parlamento e governo, a partire dal taglio ai fondi per l’editoria del 2015, sino all’aumento dell’Iva sui prodotti distribuiti con giornali e periodici, ma ha sottolineato la volontà di procedere sulla strada del reintegro del fondo, anche ricercando nuove risorse, guardando anche in direzione dei motori di ricerca che andranno sollecitati a fornire un contributo al progetto di innovazione del sistema.
Il fondo per l’editoria è, infatti, calato da 700 milioni di euro nel 2005 a 95 milioni nel 2012, importo che rappresenta lo 0,01125% del bilancio dello Stato.
Il progressivo passaggio verso il digitale e le spinose questioni legate al diritto d’autore necessitano, per Legnini, un grande progetto di innovazione attraverso atti normativi e nuove risorse finanziarie.

Tra le iniziative a breve il Sottosegretario per l’editoria ha annunciato la convocazione della Commissione per l’equo compenso ai giornalisti per il prossimo 13 giugno.

Intanto anche l’Associazione Italiana Editori (AIE) ha sottoscritto l’Appello che chiede al Presidente Napolitano al Premier Letta e ai ministri Bray per i Beni Culturali e Carrozza dell’Istruzione, Università e Ricerca la deducibilità del 50% della spesa per libri come “stimolo e sostegno all’industria culturale del Paese”.

Promosso dal professor Enrico Malato del Centro Pjo Raina, l’Appello è stato subito condiviso da decine tra le più influenti e prestigiose Fondazioni, Accademie e Istituti culturali italiani: dall’Accademia nazionale dei Lincei a quella della Crusca, fino all’Unione accademica nazionale, dalla Casa di Dante alla Società geografica italiana.

Dal 2011 al 2013, il mercato editoriale è precipitato del 15%. E’ quanto risulta dai dati distribuiti in occasione dell’ultimo Salone del Libro di Torino (Leggi Articolo Key4biz). Da qui la necessità di prendere una posizione.
Nell’Appello si legge che si potrebbe, quindi, prevedere una deducibilità del 50% della spesa documentata per acquisto di libri, entro un minimo di spesa di 1000 euro e un massimo di 2000; con eventuale incremento del minimo deducibile per i docenti, riconoscendo loro il diritto di ‘aggiornamento professionale’.

Riguardo, invece, al decreto Ecobonus è intervenuto il presidente dell’AIE, Marco Polillo, che ha espresso la propria preoccupazione dopo la conferma della previsione di un incremento dell’Iva per tutti gli abbinamenti editoriali, non solo in riferimento ai gadget ma anche ai beni che integrano e sono di complemento ai libri e periodici e sono pertanto funzionali al loro utilizzo.
Se il provvedimento fosse confermato, ha proseguito Polillo, si arrecheranno “gravi danni ai consumatori e agli editori, aggravando una situazione già difficile per l’editoria libraria”. Ma perchè nessun riferimento all’IVA per gli eBook?

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Digital is the New Salvation for European Newspapers

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European newspapers have often been shielded by the same issues plaguing their counterparts in North America. 

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State subsidies often keep an unprofitable companies afloat, while advertising revenue continues to dwindle. In France, newspapers received €800 million in state subsidies and tax breaks last year, while tiny Greece boasted about 70 newspapers before the crisis, many fed by ads from state-owned companies.

The system of government subsidies for European newspapers is starting to crumble, as the Euro Zone crisis gains momentum. Last year, France’s La Tribune became weekly, while the owner of Spain’s El Pais is near insolvent. Dozens of publications in Spain and Greece have folded. In Italy, general advertising spending hit a twenty year low in 2012 and state subsidies have dropped 60% since 2006, while sales of Italian newspapers are down 22% in the last five years. According to an Oxford University study, only 5% of Italian readers have home subscriptions to newspapers in general, compared with 25% in the U.S.

The lack of government funding is prompting the newspaper companies to go digital, but they are very unprepared for this new frontier because they relied on handouts for so long. Writers are being forced to write for the physical and digital brands at the same time, effectively doubling their workflow.

The Wall Street Journal mentioned that “In France, newspapers also have had to play catch-up online, given that overall circulation is down by nearly a third in four years and direct government subsidies to the press are projected to slide 29% by 2015 from their 2010 peak. Le Monde only began merging its online and offline newsrooms last year, after a group of investors—including a tech tycoon—bought control of the paper in a bid to save it from bankruptcy. The problem: Le Monde’s website had been owned until late 2011 in a separate joint venture. Now things are speeding up online. Le Monde says it has 120,000 paying online subscribers, and last year clawed to a narrow operating profit.”

The one bright spot in Europe right now is Germany, where newspaper companies often have never received government subsidies and had to remain autonomously profitable. Revenue is down just 10% since 2008, according to the Association of German Newspaper Publishers. Two-thirds of German adults still read print newspapers regularly, and a number of publishers have adopted online paywalls.

At Axel Springer AG, Germany’s biggest newspaper company and publisher of mass-market tabloid Bild, digital revenue overtook domestic print revenue last year for the first time, helping the company record its highest profit ever in 2012.

European newspapers in Greece, France, and Italy are in big trouble. The big ones are all owned by wealthy owners more interested in power than profits. State subsidies are drying up and most are ill-prepared to capitalize on digital distribution. For the first time they are being forced to adopt online models and overwork their writing staff to simultaneously publish on both platforms. No one is really happy during this transitional period and the public needs to be educated on exactly what is happening before more newspaper companies fold under the pressure.

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Un progetto italiano candidato al Grand Prix Möbius di Lugano

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Il progetto editoriale italiano “Esopo
nelle Valli di Tridentum” (Zandonai Editore /
Gaban Studios) si afferma nel mondo per le sue
caratteristiche di innovazione e “crossmedialità”.

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Dopo essersi aggiudicati il primo posto al Global
Access Program della UCLA (University of
California, Los Angeles), i suoi autori, l’artista
digitale e regista Dario Picciau, lo scrittore
Roberto Malini e l’editore Emanuela Zandonai
sono stati selezionati ufficialmente nella terna
che concorre al prestigioso Grand Prix Möbius di
Lugano (Svizzera). La giuria del Premio è
composta da alcuni fra i principali esperti di cultura digitale in campo
internazionale, fra i quali il Presidente Derrick de Kerckhove, luminare di
sociologia digitale, assistente e co-autore di Marshall McLuhan per oltre 10
anni. Il 5 ottobre 2013 il Premio Möbius Multimedia Lugano
(www.moebiuslugano.ch) giunge alla diciassettesima edizione, assegnando
l’importante riconoscimento alla presenza del gotha del mondo digitale
internazionale, con la partecipazione di Massimo Bray, ministro italiano dei
Beni e delle attività culturali e del turismo. In questa edizione il Grand Prix
Möbius concentra l’attenzione sui prodotti crossmediali particolarmente
innovativi, capaci di mostrare percorsi praticabili e obiettivi ambiziosi, in questi
anni caratterizzati dall’avvento del digitale su scala globale e di fronte al
predominio dei grandi della rete quali Amazon, Apple, Facebook, Google,
Microsoft. "Esopo nelle Valli di Tridentum" rappresenta pienamente queste
caratteristiche ed è già sul mercato con le prime novelle grafiche digitali,
scritte da Roberto Malini – attualizzando la tradizione della favola esopica – e
illustrate dalle tavole digitali di Dario Picciau. La Provincia di Trento è già in
contatto con l’editore per dare corpo a una serie di progetti che valorizzeranno
il territorio. La raccolta di favole è uscita inoltre, grazie a una collaborazione
fra Zandonai Editore, LibriVivi Media e Salani Editore, in edizione audiolibro,
con due CD all’interno di un prezioso cofanetto, per l’interpretazione di alcune
delle più belle voci del cinema e del teatro, che il pubblico riconosce perché le
ha già ascoltate in tanti film holliwoodiani. Per Natale uscirà inoltre la versione
per iPad, nella quale, grazie alla tecnologia esclusiva "Living Comic System",
creata da Dario Picciau e già richiesta dalle grande editrici di fumetti negli Stati24/09/13 IMGPress – Il foglioelettronico
www.imgpress.it/stampanotizia.asp?idnotizia=74910 2/2
Uniti, le tavole digitali prendono vita attraverso gli stessi effetti speciali che
caratterizzano i film più spettacolari. Dulcis in fundo – per il trionfo della
crossmedialità – è già in pre-produzione la serie televisiva di animazione
dedicata agli animali parlanti che popolano le "Valli di Tridentum", scritta da
Roberto Malini e diretta da Dario Picciau, autori pluripremiati che ricordiamo
anche per "L’uovo", primo film in 3d realizzato nel continente europeo (nel
2003) e accolto proprio dal sistema scolastico svizzero nei progetti educativi
rivolti all’infanzia. I vincitori del Grand Prix Möbius parteciperanno di diritto al
Prix Möbius International successivo, che
si svolgerà a Parigi o in altra città rappresentante uno dei comitati Möbius
sparsi nel mondo. Finora il Prix Möbius International, oltre che nella sede
centrale a Parigi, ha avuto luogo a Pechino, Atene, Ile de la Réunion, Montréal
e Bucarest.

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Wikitude and Optinvent Show True Augmented Reality Glasses Experience

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Wikitude, the world leader in augmented reality solutions has partnered with Optinvent to build the first true augmented reality glasses platform by combining Optinvent’s ORA-S see-through display and Wikitude’s software development kit (SDK). Images and video demonstration are now available.

augmented world‘s insight:

Through this partnership with Optinvent, Wikitude has a strong collaborator in the wearable display technology market. Optinvent’s unique dual mode display, in combination with our complete technology package, offers developers a true augmented reality platform that will power the next generation of wearable computing.

 

Since announcing the expansion into the wearable display technology market in April, Wikitude has seen unparalleled demand for its SDK from developers interested in building “hands free” AR applications. Google Glass has introduced the general public to the possibilities and potential of this technology, but in fact is not designed to enable true augmented reality.

With it’s patented “Flip-Vu” technology, exceptional image quality and form factor, Optinvent’s ORA-S provides an extraordinary visual experience. The display can be flipped up into true “AR” mode, directly in the line of sight for immersive experiences, or flipped down to “Glance” mode where digital information becomes less obtrusive. These two visualization modes greatly enhance the user experience and ergonomics, depending on the use case and situation.

“We’re very excited about our collaboration with Wikitude to run the world’s leading augmented reality software on our game changing ORA-S hardware platform. Wikitude’s proven SDK will allow for a premium experience and app developers can now build their own amazing never before seen applications. Optinvent is proud to have Wikitude as a partner,” says Optinvent CEO Kayvan Mirza.

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Scuola Digitale: riflessioni per un anno di cambiamento

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Il tema dei libri digitali è una parte della questione complessiva del cambiamento necessario nella scuola digitale per attuare le politiche di innovazione

digital publishing‘s insight:

Il tema dei libri digitali, presente nel decreto-legge approvato il 9 settembre in Consiglio dei Ministri, è una parte della questione complessiva del cambiamento necessario nella scuola digitale per attuare le politiche di innovazione, centrale per lo sviluppo della cultura digitale nel nostro Paese. Una rilettura del rapporto OCSE sulla scuola digitale, oggi disponibile in formato integrale, può essere illuminante per impostare un progetto organico di cambiamento.

 

La strategia, oltre i libri digitali
C’è sicuramente molta attesa per le politiche che il ministro Carrozza sta delineando in tema di istruzione, alcune delle quali vedono le prime applicazioni nel provvedimento approvato dal CdM di ieri 9 settembre. Diversi i punti rilevanti presenti nel provvedimento in tema di digitale: nel campo delle politiche sulla “scuola digitale” alcune importanti misure, dallo stanziamento sul wireless alla formazione sulle competenze digitali degli insegnanti, al sostegno per l’acquisto di libri e e-book, alla valorizzazione del merito sulla ricerca, alla rimozione dell’obbligo di adottare libri di testo (misura che avevamo provato a far approvare, senza riuscirci, come emendamento al decreto crescita 2.0 del 2012).

 

Ma, soprattutto, un indirizzo chiaro: valorizzazione del merito e, allo stesso tempo, necessità che I requisiti minimi siano soddisfatti da tutti gli elementi del sistema. Un ottimo inizio, un passo decisamente nuovo.

Nell’ambito degli interventi sulla scuola digitale, si sono in questi ultimi mesi avuti discussioni in rete anche molto vivaci rispetto alle anticipazioni del Miur sul rinvio delle precedenti scadenze sull’entrata in vigore dell’obbligatorietà dei libri digitali.

 

Sui libri digitali torneremo nelle prossime settimane, con un discorso più specifico e cercando di uscire fuori dal tema della forma e discutendo della sostanza e del metodo (non sono concepibili libri digitali che non stimolino e consentano l’interazione, la navigazione, l’esplorazione di percorsi anche attraverso più canali e media) oltre che del sistema di produzione (ruolo dell’editoria rispetto alla possibilità di costruire percorsi basati sulle buone pratiche e le produzioni delle stesse scuole) e delle infrastrutture necessarie per la completa fruizione (LIM e computer, banda e connessione Internet).

Credo, però, che questo non sia un tema centrale per la strategia della scuola digitale. Importante, certamente, ma conseguente. E per questa ragione mi sembra più utile rifare il punto sulla situazione generale delle politiche del digitale nella scuola e cercare di identificare i punti chiave di un percorso efficace di cambiamento.

 

La parola chiave: cambiamento
Una delle parole chiave è proprio questa: cambiamento. Con un obiettivo che va oltre l’allineamento della nostra capacità di avere studenti e laureati in grado di proporre innovazione e quindi contribuire a costruire un sistema competitivo e che consenta di migliorare la qualità della vita. La scuola, infatti, anche nel Piano Nazionale Scuola Digitale, viene vista come centrale per accelerare lo sviluppo della cultura digitale nelle famiglie e quindi essere una delle leve per innestare un cambio di marcia nell’intera società italiana. Già nel breve periodo, grazie a questa capacità di “contagio”.

La centralità strategica della scuola va quindi al di là della formazione delle nuove generazioni e alla spinta a che siano nelle condizioni di superare le condizioni di arretratezza attuali.

 

Questo significa che attribuiamo alla scuola parte delle possibilità di recuperare la situazione di arretratezza e di lento declino che sono testimoniate dall’aumento della disoccupazione, dall’allargarsi della differenza di crescita rispetto ai paesi più industrializzati, con un PIL ancora negativo, dalle classifiche internazionali che ci vedono indietro su buona parte degli indicatori sull’area dell’innovazione (vedi ad esempio la performance dell’Italia rispetto agli indicatori dell’Agenda Digitale europea).

Se questa è la scelta, allora i ritardi che ancora ci sono nell’attuazione del Piano contribuiscono a rendere inefficaci le politiche di innovazione italiane, per quel poco che ne è stato definito negli ultimi anni. L’effetto sul futuro del Paese è deflagrante.

 

Perché “cambiamento” è una parola chiave? Perché nella definizione del Piano Nazionale Scuola Digitale (o, almeno, di quel poco che di strutturato se ne trova sul sito del Miur) l’accento va sulle singole azioni (piano LIM, progetti Classi 2.0, Scuola 2.0, Editoria digitale) e non sul contesto generale di azione, lasciando l’impressione che un progetto organico di cambiamento, con individuazione di leve e di azioni concorrenti e di target e misurazioni di risultati, non ci sia.

 

Si ha l’impressione che il quadro generale, forse inizialmente presente, si sia frammentato in interventi e progetti che, presi singolarmente, non possono che essere inefficaci. Tra l’altro, con presenze un po’ desolanti di iniziative di comunicazione e condivisione arenate e abbandonate qui e là ).

Stimoli dall’ultimo rapporto OCSE sulla scuola digitale italiana
L’importanza di un quadro organico di intervento, necessario per l’impostazione di un efficace progetto di cambiamento, è così evidente che nella presentazione di marzo della review OCSE sullo stato del digitale nella scuola italiana (vedi comunicato Miur del 6 marzo 2013) l’ultima slide è proprio dedicata a delineare un “ecosistema favorevole per l’innovazione nel campo della formazione”, con la considerazione delle componenti organizzative e di sviluppo sia a livello della singola scuola che di sistema generale. Con una sottolineatura che denota l’insistenza su un punto che forse si ritiene troppo trascurato.

 

Credo che la lettura approfondita del rapporto OCSE, ora disponibile in formato integrale, sia importante perché consente di andare oltre le analisi, spesso superficiali, che si sono diffuse dopo la presentazione ufficiale sintetica, focalizzate più sui dati dell’arretratezza delle dotazioni tecnologiche degli studenti italiani (molto distante dalla media europea) che sui fattori chiave che il rapporto consigliava di prendere in alta considerazione.

 

Suggerimenti che credo sia utile sintetizzare e rileggere, perché mi sembra delineino il quadro di cambiamento organico che oggi manca:

a) operare con più leve per far fronte ai vincoli di budget, puntando al maggior coinvolgimento sistematico del finanziamento e dell’investimento dei privati, anche con l’utilizzo del concetto dei “matching funds”, ad una maggiore flessibilità nell’identificazione della tecnologia utile per la didattica;

b) supportare l’espansione, la distribuzione e il riutilizzo delle esperienze e delle risorse disponibili, non solo italiane, attraverso banche di progetti utilizzabili facilmente dagli insegnanti;

c) investire nello sviluppo professionale degli insegnanti e dei dirigenti scolastici, partendo dalla constatazione che i programmi di formazione non hanno prodotto il risultato auspicato di mettere le scuole in condizioni di utilizzare l’Ict nella didattica quotidiana e quindi prevedendo strategie e modalità che vadano su azioni da un lato più coordinate (con un ruolo maggiore dell’INDIRE) e dall’altro su azioni rivolte alle scuole più che ai singoli insegnanti e più indirizzate alla didattica che alle tecnologie.

Puntando da un lato sull’incentivazione e i premi agli insegnanti “champion”, ma dall’altra parte anche sul diritto-dovere di formazione per tutti gli insegnanti;

d) Monitorare e valutare il cambiamento, sulla base di indicatori di risultato e di prestazione. Ancora dal report: “una limitazione del piano è che i suoi obiettivi sono definiti in modo vago e che non è pubblico nessun obiettivo operativo che possa fornire una misura di successo”. Insomma, una forte critica di metodo che ancora non è stata affrontata.

 

Il report entrava poi in merito di alcune azioni per “catalizzare” il cambio sistemico e l’innovazione didattica:

realizzare una rete di innovazione laboratoriale, con scuole che diventano “campi di test” per le sperimentazioni e le innovazioni da riportare a livello generale e con un sistema di governo della rete che permette anche lo sviluppo di una vera e propria comunità di ricerca e innovazione, e la valorizzazione del peer-learning/education nella comunità degli insegnanti;
creare le condizioni per l’apprendimento di sistema, con una focalizzazione specifica alla messa a sistema del knowledge management, che il rapporto puntualizza come totalmente assente dal piano.
Infine, alcuni interventi erano consigliati per diversi elementi di contesto, dalla considerazione delle competenze digitali in tutti i sistemi di valutazione (inclusa quella INVALSI), al miglioramento organico delle infrastrutture (e non a macchia di leopardo, come adesso), al coinvolgimento delle famiglie sul processo di cambiamento, a partire dai temi della sicurezza, mettere a sistema lo stimolo all’innovazione e la condivisione della conoscenza “Make knowledge sharing an engaging experience for teachers”.

 

Il cambiamento e la questione organizzativa
Il cambiamento viene pertanto prospettato tenendo conto delle diverse dimensioni in cui si articola un intervento di questo tipo: organizzativa, legata allo sviluppo delle competenze, allo sviluppo di carriera e ai riconoscimenti, al knowledge management, alla comunicazione e al lavoro collaborativo.

 

Il fatto che ancora si parli di buone pratiche isolate, di gruppi di insegnanti molto competenti ma che non hanno portato al cambiamento delle scuole in cui operano, significa che ci troviamo dinanzi ad un cambiamento mal programmato, con poche possibilità di successo, e che rischia anche di non valorizzare al meglio le scarse risorse disponibili.

Solo incidendo su tutte le dimensioni allo stesso tempo è, infatti, possibile produrre il cambiamento auspicato. In particolare, dal punto di vista organizzativo, agendo su:

la governance centrale, alla quale si richiede una visione educativa d’insieme, stabilendo dei modelli di valutazione delle performance e di sviluppo delle risorse umane, fornendo servizi che consentano l’ottimizzazione delle energie e delle risorse sui processi ripetitivi e meno “di valore aggiunto”;

le strutture di supporto al cambiamento, in grado di pianificare e governare il complesso processo di cambiamento che si vuole realizzare, strutture che sono da sviluppare e potenziare (a partire dall’INDIRE);

le organizzazioni scolastiche di coordinamento, che dovrebbero supportare lo sviluppo delle reti, dei servizi e la valorizzazione delle esperienze, oltre che garantire il monitoraggio degli indicatori del piano (una volta definiti);

le organizzazioni scolastiche territoriali, le cui azioni sono lasciate all’iniziativa volontaria e non coordinata, indirizzate ad accorpamenti che penalizzano la qualità del servizio scolastico in nome di una presunta efficienza, in netta controtendenza con quanto avviene nei Paesi di maggiore eccellenza scolastica, come la Finlandia, con progetti innovativi (come lo storico progetto SenzaZaino) che, pur dando risultati importanti, rimangono relegati su isole di attuazione;

il sistema di gestione delle competenze degli insegnanti e delle conoscenze e delle esperienze, di fatto inesistente se non in qualche raro ed isolato caso, comunque non “messo a sistema”, e anzi ostacolato dalla riduzione del tempo di “ridondanza”, quello cioè da poter dedicare al miglioramento e alla condivisione delle buone pratiche. In assenza, tra l’altro, di un sistema di incentivi e di merito del personale scolastico e delle scuole.

Come si può pretendere di introdurre “innovazioni” (e quindi cambiamenti) senza allo stesso tempo prevedere dei piani di cambiamento che intervengano in modo specifico su questi punti chiave?

Innovare significa cambiare, nel profondo, i comportamenti e le dinamiche umane. Non è frutto di improvvisazione né di fenomeni spontanei e automatici. Non si produce digitalizzando senza riorganizzare processi e senza cambiare le strutture in modo coerente.

 

Non si può procedere, come purtroppo si è fatto negli anni passati, con una evidente carenza di programmazione degli interventi, disattenzione alla gestione del cambiamento e sottovalutazione delle condizioni necessarie e dei supporti utili per l’effettiva realizzazione dei cambiamenti. Niente di più naturale che qualsiasi innovazione si riveli inefficace, o non vada oltre le soglie della sperimentazione.

 

Ci vuole un modo diverso di concepire questa trasformazione necessaria e strategica per la società italiana, con identificazione chiara degli obiettivi e definizione di un piano organico di cambiamento. Realizzato avvalendosi anche delle competenze e delle esperienze di coloro che sono chiamati a realizzarlo.

 

Il rapporto OCSE delinea una valutazione e indirizza dei suggerimenti che è utile siano da base per una revisione, un arricchimento ed un miglioramento del piano (molto carente) attuale. Abbiamo visto che il ministro Carrozza ha iniziato a raccoglierne alcuni (come nell’adozione del modello dei “challenge prize”) e altri punti sono presenti nel Decreto Istruzione approvato il 9 settembre.

 

L’auspicio è che il passo successivo sia la definizione di un rinnovato e completo piano organico di cambiamento, un nuovo “piano per la scuola digitale”. In cui anche il tema dei libri digitali trovi la sua adeguata collocazione.

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