L’egoismo degli editori contro la scuola digitale
La notizia è di quelle che lascia senza parole: l’associazione italiana editori trascina il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca davanti ai giudiciamministrativi per aver spinto troppo sull’acceleratore della digitalizzazione del pianeta scuola.
Oggetto del giudizio il Decreto con il quale lo scorso 26 marzo il Ministro Profumo ha stabilito che, a partire dal prossimo anno scolastico, nelle scuole italiane, i libri in digitale dovranno, progressivamente, sostituire quelli cartacei, alleggerendo le cartelle degli studenti, facendo risparmiare i genitori e, soprattutto, accelerando il processo di alfabetizzazione informatica delle nuove generazioni.
Il ricorso, si affrettano a spiegare gli editori, non è contro l’idea del libro digitale [n.d.r. ci mancherebbe altro] ma contro i tempi ed i modi di diffusione degli e-book nelle scuole, stabiliti nel decreto.
L’impreparazione tecnologica delle scuole alla migrazione dai libri di carta a quelli digitali e la lesione dell’autonomia scolastica starebbero alla base dell’iniziativa secondo quanto riferito dall’AIE nel comunicato stampa con il quale l’associazione degli editori ha annunciato l’impugnazione del decreto.
Motivazioni altruistiche e tanto filantropiche, dunque, da far quasi sorgere il sospetto che l’associazione degli editori non sia neppure legittimata ad impugnare il provvedimento del Ministero a tutela di interessi che, a ben vedere, non rappresenta. Ma non è così. Le ragioni alla base del ricorso contro uno dei pochi provvedimenti concreti sin qui varati in attuazione dell’agenda digitale, sono altre e ben più egoistiche. Gli editori sono preoccupati delle ripercussioni economiche che la migrazione del pianeta scuola verso il libro digitale produrrà nell’intera filiera, dall’esigenza di compressione dei prezzi e dall’elevato – almeno secondo loro – rischio di pirateria. Una lunga serie di motivazioni egoistiche, dunque, in nome delle quali gli editori vorrebbero tirare il freno della già lenta e faticosa digitalizzazione del pianeta scuola e, con esso, del Paese.
La decisione dell’associazione italiana editori, rappresenta un fatto politicamente – nel senso più ampio del termine – gravissimo.
Nessuno nega che gli interessi del mercato dell’editoria scolastica meritino considerazione e tutela ma, al punto in cui siamo e nella disperata condizione di arretratezza digitale nella quale si trova il Paese, è impensabile che gli interessi egoistici di questo o quel comparto imprenditoriale frenino il progresso ed allontanino il futuro.
Non c’è scusa che tenga né gli editori possono fondatamente prendersela con l’ex Ministro Profumo per i tempi, a loro dire troppo repentini, stabiliti per la migrazione. L’esigenza di passare dai libri di carta a quelli di bit è nota, agli editori ormai da anni e sarebbe stato, anzi, ragionevole aspettarsi che fossero proprio loro, in totale autonomia e senza attendere atti di imperio, ad accompagnare la scuola verso la rivoluzione digitale.
Non è accaduto perché, sfortunatamente, miopia ed avidità hanno prevalso e l’editoria del settore – peraltro in buona compagnia – ha preferito restare saldamente legata alla carta fino a quando è stato possibile.
Ora basta, però. Il futuro è li, dietro l’angolo e parla in digitale.
E’, peraltro, un futuro nel quale educazione e sviluppo culturale hanno bisogno di editori in gamba come ce ne sono tanti nel nostro Paese, editori che siano capaci di guardare avanti e reinventarsi contenitori e contenuti.
Non c’è posto per la difesa di egoistiche posizioni di rendita né per chi voglia anteporre i propri interessi a quelli del Paese. C’era un tempo nel quale gli editori – specie quelli scolastici – svolgevano un’insostituibile funzione educativa a servizio dello sviluppo culturale del Paese e, così facendo, contribuivano al futuro delle nuove generazioni.
E’ triste dover constatare quanto quel tempo appaia lontano in un momento nel quale, almeno la più parte degli editori italiani, al contrario, rema contro il progresso e la circolazione della cultura in digitale, minacciando, così, di sfilare il futuro dalle mani dei nostri figli.