Google investe in segreto su Magic Leap per la ‘Realtà Cinematica’

Google progetta di investire pesantemente su una società segreta chiamata Magic Leap (salto magico). La società produce sia hardware che software da far funzionare insieme per creare un’interfaccia utente di foto realistica chiamata “Realtà Cinematica”. 

Source: www.davincitech.it

 

Secondo un recente rapporto, Google sta conducendo quello che potrebbe essere un giro di investimento di 500 milioni di dollari (circa 390 milioni di euro). Al momento sappiamo molto poco dei prodotti disponibili di Magic Leap e la tecnologia che si cela dietro questi prodotti.

 

Non sappiamo se tali prodotti sono in fase produttiva. E’ bene ricordare che Nvidia, in passato, ha provato alcuni prodotti di questa tecnologia ma senza aver ottenuto, finora, risultati concreti.

Magic Leap ci ha girato intorno per qualche anno e questo investimento suggerisce che potremmo finalmente assistere all’uscita di un prodotto concreto della società nel prossimo futuro.

 

Come per la realtà cinematica, questa tecnologia sembra molto simile alla realtà aumentata. L’amministratore delegato di Magic Leap ha rilasciato una serie di interviste riguardo alla tecnologia ed in ognuna usa frasi iperboliche su come questa sia di molto superiore ad ogni tipo di tecnologia precedente.

 

Per questa ragione la società ha coniato un nuovo termine, vale a dire la “Realtà Cinematica”. Al momento, sembra trattarsi di un nuovo approccio per realizzare la realtà aumentata con una qualità cinematica aggiunta.

 

Le prime poche persone che hanno sperimentato dimostrazioni hanno riferito di essere letteralmente “volate via” con esse. Magis Leap, evidentemente, è in grado di ottenere due risultati molto interessanti: il primo, riguarda un’immagine di realtà aumentata ad altissima risoluzione; il secondo sta nel fatto che la società è capace di realizzarla con precisione.

 

Tale combinazione potrebbe essere davvero un mix molto potente e si potrebbe immaginare una sorta di cuffia piazzata da qualche parte tra l’Oculus Rift e Google Glass. Un dispositivo come questo potrebbe dare una visione della realtà attuale con qualcosa di sovrapposto ad essa.

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Cosa dice davvero lo studio sull’uomo “dipendente dai Google Glass

“L’uomo dipendente dai Google Glass” (Daily Beast). “Uomo in cura per dipendenza da Google Glass” (Time). “Dipendenza da Google Glass? I medici descrivono il primo caso della malattia” (NBC News). Poi si recupera lo studio che motiva i titoli – questi, e molti altri sugli stessi toni allarmati – e si legge che le cose sono un po’ più complicate.

Source: www.wired.it

 

Il lavoro dei ricercatori Kathryn Yung e colleghi, appena pubblicato su ‘Addictive Behaviors’, racconta infatti l’esperienza di un 31enne in servizio nelle forze armate “con precedenti di disturbi dell’umore“, di “ipomania indotta da sostanze e che si aggiunge a un disturbo depressivo, ansia con caratteristiche di fobie sociali, un disturbo ossessivo-compulsivo e un problema acuto nel consumo di alcool e tabacco“.

 

Vista la complessità del quadro clinico del paziente, sono i ricercatori stessi a parlare – più che di una nuova malattia o dipendenza – di “potenziali associazioni” tra disturbi dovuto all’abuso di sostanze e dipendenza da Internet (IAD). Un disturbo, quest’ultimo, peraltro fortemente discusso e non riconosciuto ufficialmente come tale nemmeno nel DSM-5: quasi sempre, infatti, l’ipotetica malattia appare unicamente in congiunzione con, e come manifestazione di, altre patologie trattate nel celebre manuale di disturbi psichiatrici.

 

Messici al riparo dagli allarmismi – lo studio non autorizza a ipotizzare correlazioni tra un uso smodato dei Google Glass e un disturbo, in assenza degli altri fattori presenti nel paziente – resta tuttavia ciò che il paziente stesso dice di avere provato nei due mesi precedenti il ricovero, quando ha utilizzato gli occhiali per la realtà aumentata di Mountain View per 18 ore al giorno,

 

togliendoseli solamente per lavarsi e dormire. Al lavoro del resto, si legge, gli erano utili per fotografare veicoli a mani libere e taggare le immagini con precisi identificativi. E fuori il suo indossarli, dice, lo aveva aiutato a socializzare: spesso, quell’uso stesso del device era il rompighiaccio.

 

Poi il 31enne diventa un paziente, e i Glass gli vengono vietati. “L’astinenza è stata peggiore di quando ho smesso con l’alcool“, dice. E ancora, notano i ricercatori che il paziente afferma di avere “visualizzato i suoi sogni attraverso il device“. Dopo la realtà aumentata, i sogni aumentati: “Aveva esperienza del sogno“, si legge, “attraverso una piccola finestra grigia, coerente con quanto vedeva indossando il device da sveglio“. Una sorta di nuova manifestazione dell’effetto Tetris.

 

Non è tutto. Senza i Glass, il paziente si sente diventare “estremamente irritabile“. E, durante i colloqui, i medici lo vedono distintamente cercare con le dita il capo, all’altezza in cui incontrava la parte del device con cui interagire con Glass. Fenomeno che si attenua dopo 35 giorni di ricovero, ma significativo secondo i ricercatori. Lo stesso mitigarsi degli effetti si vede per le autodichiarate difficoltà con la memoria di breve termine e con la capacità di mantenere contatto visivo con l’interlocutore.

 

La conclusione degli studiosi non è che usare troppo i Glass conduca necessariamente all’insorgere di un disturbo, ma che i disturbi osservati “possono essere spiegati da una combinazione degli effetti del suo grave problema con l’alcool e dei suoi problemi psichiatrici, ma possono essere anche ulteriormente complicati da un uso esteso e quotidiano, e da una conseguente astinenza dovuta al ricovero, dei Google Glass“.

 

Insomma, il problema non sembra risiedere nel device in sé né, più in generale, nella tecnologia. Ciò che manca, si legge, è piuttosto letteratura scientifica su come usi continuativi di device tecnologici – e quelli indossabili e connessi mirano per definizione a occupare tutti i momenti delle nostre giornate – impattino sul nostro cervello, ammesso lo facciano negativamente, e sui nostri comportamenti.

 

Senza dimenticare l’importanza del quadro più generale della salute di chi li indossa, ma anche le sue motivazioni personali e sociali. Una questione seria, da affrontare senza pregiudizi (né allarmistici né assolutori), specie ora che la rivoluzione degli wearable e l’era dell’iperconnessione sono, o stanno per diventare, realtà di massa.

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Google reinventerà la realtà aumentata e virtuale

Magic Leap ha intenzione di rivoluzionare il modo di vedere la realtà, con un paio di occhialini che porteranno il cinema dentro la nostra vita. E lo farà con Big G.

Source: www.datamanager.it

 

Google e altri investitori potrebbero investire presto in Magic Leap, una compagnia (per ora segreta) che dovrebbe produrre hardware e software per il mondo del cinema. Il rumor arriva dal sito ReCode che dice di aver sentito una fonte vicina a Google secondo cui il colosso sarebbe pronto a sborsare circa 500 milioni di dollari per l’azienda basata in Florida.

 

Oltre a Big G, sarebbe interessata all’acquisto anche Andreessen Horowitz, venture capital da 4 miliardi di dollari. A quanto pare, Magic Leap gode di un certo interesse nell’ambiente di Hollywood e della Silicon Valley, due mondi che negli anni si sono avvicinati sempre di più, grazie al crescente utilizzo della tecnologia in ambito cinematografico, non solo nella produzione di colossal. Ma non è tutto. Secondo fonti vicine a Magi Leap,

 

l’azienda starebbe lavorando ad un dispositivo indossabile per ricreare situazioni di realtà “cinematografica”, probabilmente un paio di occhialini.

 

Realtà cinematografica

 

In realtà, nelle scorse settimane Magic Leap ha dato qualche informazione sui progetti futuri. Rony Abovitz, CEO della compagnia statunitense, ha spiegato al South Florida Business Journal: “Ci sono termini vecchi, come realtà virtuale e realtà aumentata che vengono utilizzati per motivi legali. In verità le loro definizioni hanno ben poco a che fare con ciò che possono davvero realizzare.

 

Per questo noi abbiamo coniato il termine “realtà cinematografica” per farvi vedere come sarà la tecnologia per i prossimi 30 o 40 anni”. Non c’è che dire, Abovitz è decisamente convinto di poter rivoluzionare il mondo della “realtà” (comunque si voglia chiamare) con un’interfaccia uomo-macchina in fase di progettazione o realizzazione.

 

Il beneficio del nuovo approccio della Magic Leap sarebbe la possibilità di combinare oggetti reali con figure a tre dimensioni, così da realizzare un’esperienza totalmente immersiva in ciò l’azienda chiama “scultura in luce 3d”, ovvero un oggetto che non c’è ma che sembra esserci. Proprio come i Google Glass.

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Do We Want An Augmented Reality Or A Transformed Reality?

We are only beginning to see what augmented reality can do.

It seems we are headed towards a world where augmented reality (AR) systems will be as common as smartphones are today – it’s already about to revolutionize medicine, entertainment, the lives of disabled people and of course advertising and shopping.

 

The big three tech companies have all invested heavily in research and development in the AR domain. Google will be releasing Google Glass later in the year, Microsoft has been working on its own AR device and not long ago Facebook bought the virtual reality (VR) company Oculus Rift.

 

The notion of AR that these companies are proposing is a kind of “smartphone for the eyes”, as traditional AR and VR converge in the optic realm.

Source: www.science20.com

 

The reality boost

 

We are moving into an era where we will, on a commercial scale, be taking our visual information in real time and integrating this with a wealth of external information to transform our daily lives. This will give us some degree of control over how we see the world, in the fundamental sense.

 

For example, we might be offered information about people or objects as they pop into our field of view. Or it could introduce into our visual field view things that don’t exist at all in the real world to potentially filter out of our vision things that are in fact there, such as giant advertising billboards.

Rather it’s a call to begin thinking critically about the possibilities AR presents and the idea that perhaps instead of merely augmenting reality, we could transform it.

 

The unspoken future

 

Extrapolating from the recent history of technology gives us a glimpse of what the future of AR is likely to look like in the hands of the big tech companies.

 

First, the idea of the “app” will extend into the visual domain, giving us apps that aid us in all the things we already do: building a house, studying at a distance, traveling in a new city and even making love.

Second, the price for access to these new services and of having information at our fingertips is likely to involve surrendering ever more of our personal information. Critically, it will open up new markets for advertisers to promote their products and services in both tacit and explicit ways – an extension of the world of “advertising everywhere”.

 

The increased human consumption of advertising – driven perhaps largely by the increase of screens in the world – has begun to be referred to by some as the pollution of the mental environment.

By surrendering control over our immediate field of vision, advertising no longer needs to be limited to a screen or a surface but could become truly ubiquitous.

 

Transformed reality?

 

The name “augmented reality” gives it away. The vision of AR that we are seeing in the media and in press releases for products such as Google Glass is a vision of our world as we know it, but perhaps made a little easier through this technology.

 

In contrast, this technology, that can change what we sense in real time, has the potential to fundamentally change how we live. Do we have the imagination to dream about how instead of merely augmenting reality we could be aiming to transform it?

The transformative potential of this technology has begun to be envisioned by a number of different artists.

 

In the Artvertiser project, artists have developed an application that replaces billboards within the visual field with images of art. So instead of subconsciously consuming giant advertisements on a billboard from the bank, users could perhaps be consuming artworks by Banksy.

 

The example above is just the tip of the iceberg. What kind of a built environment do you want to inhabit? Your AR has the potential to change both the cityscape and the horizon, to overlay worlds upon worlds.

 

Other artists have begun experimenting with ways that the technology could be used to add extra dynamics to public artworks, bringing them to life.

 

The advent of AR presents a significant choice. Through detection, replacement and synthesis AR has the potential to both add to and subtract from our sensations. Aspects of the environment, even buildings and people could potentially be filtered in or out based on personal preference – our generation is the first in human history that holds this possibility.

 

The proposal is that rather than simply waiting to see what purposes are dreamed up by the purveyors of this technology, we need to begin thinking about how we want to use it.

 

Now is the time to start dreaming about how the advent of ubiquitous AR could not merely augment society, but transform it for the better

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‘The Walking Dead’ take Vienna with augmented reality-digital signage campaign

The zombie-centric hit TV show “The Walking Dead” started off its fifth season last night here in the U.S., and the show’s season premier is set to air tonight in Austria — with an added kick thanks to a gory augmented reality-digital signage campaign.

Source: www.digitalsignagetoday.com

 

TV network Sky Austria and Austrian out-of-home ad firm Gewista (part of the JCDecaux Group) converted a Vienna tram stop into the "Scary Shelter," a two-day experiential campaign featuring digital signage and augmented reality making it appear as though the zombie apocalypse was hitting the capital.

 

The installation combined zombie footage shot for the campaign with a real-time feed of the Vienna streetscape, surprising people waiting for trams and allowing passersby to "appear" in the screamfest.

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