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Archiviare enormi quantità di informazioni digitali, con l’idea di conservarli in eterno, può essere una fatica inutile. E questo perchè i software che andremo ad utlizzare in futuro potrebbero non essere più in grado di leggere i dati immagazzinati oggi nei pc, in supporti di memoria esterni o nei grandi server alla base dei servizi cloud.

 

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Il rischio che una parte dei Big Data (fogli di calcolo, documenti personali e di business ma anche contenuti di natura scientifica) di cui si fa un gran parlare possa andare perso un domani è stato ventilato con precise sottolineature da Vinton Cerf, uno dei padri di Internet e co-inventore del protocollo Tcp/Ip. Che ha messo nel mirino soprattutto un aspetto: l’obsolescenza dei programmi con i quali questi dati sono stati creati.

 

Il problema? L’obsolescenza dei software

Cerf ha affrontato il problema un paio di settimane fa, in occasione dell’evento Computerworld Honors, facendo riferimento esplicito a uno dei programmi più popolari e utilizzati oggi sul pianeta, e cioè Office 2011. Installata sul proprio computer Mac, la suite di produttività di Microsoft – questo l’affondo del 70enne guru oggi vice presidente e Chief Internet evangelist di Google – non è più in grado di leggere un file di PowerPoint creato nel 1997. Senza mettere sotto accusa il gigante del software, Cerf ha però rimarcato come la compatibilità (dei software) sia una qualità molto difficile da mantenere per periodi molto lunghi di tempo; effettuare periodici backup, trasferendo i file su dischi fissi dotati delle più avanzate tecnologie di sicurezza non risolve il problema. La valenza di un documento digitale – pensiamo per esempio ai file contenenti simulazioni di carattere scientifico – è tale solo se un software o un’applicazione è in grado di interpretarlo e all’occorrenza modificarlo. In futuro, questo l’allarme lanciato dal’ex studente della Stanford University che mise in soffitta la tecnologia del progetto Arpanet, potremmo perdere la capacità di utilizzare quei dischi.

 

La soluzione? I metadati

Come ovviare al rischio di perdita di milioni di informazioni? La ricetta di Cerf è nella sua essenza molto semplice: preservare i metadati, e cioè quelle informazioni che descrivono un insieme di dati e che quindi consentono di risalire alle condizioni in cui i dati stessi sono stati prodotti, organizzati e archiviati. Garantire lo status di bene durevole e senza scadenza all’immenso patrimonio di materiale digitale generato da ogni singolo individuo, aziende ed organizzazioni di vario genere è la vera sfida da vincere. Magari, come ha suggerito Cerf, sfruttando i metadati come una sorta di "digital vellum", di pergamena digitale capace di preservare i contenuti per migliaia di anni. Ben venga quindi il fatto che, a suo dire, si tratti di un problema noto e a cui si sta lavorando per venirne a capo.

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