Tutti se lo sono chiesto, prima o poi. A cominciare da chi ha perso la casa e da chi ha visto svanire il gruzzoletto dei risparmi. Negli Usa e nel mondo. Cos’è successo quel giorno del 2008 in cui la Lehman Brothers fallì, innescando una crisi globale che non si è più fermata e che ancora oggi, cinque anni dopo, non smette di sconvolgere le quotazioni delle Borse e le esistenze di miliardi di individui?
Una possibile risposta la sta cercando un fisico americano di origini australiane con il background del sociologo e l’entusiasmo caratteristico di chi frequenta la dimensione del «Big Data», quella dei grandi numeri macinati dalle reti dei computer. Si chiama Duncan Watts ed è uno dei cervelli al lavoro nei laboratori newyorchesi della Microsoft. «Qui – spiega – al Big Data intrecciamo la data science, il machine learning e la computational social science». E’ questa triade che fa vibrare la realtà parallela di Watts: software con l’ambizione di approssimarsi alle logiche umane e super-calcolatori che elaborano informazioni che nessuna mente biologica riesce a reggere. Il tutto organizzato in modelli che devono proiettare l’ombra di un possibile (e rassicurante) ordine su un presente che, al contrario, appare terribilmente caotico.
Ed è sempre quella triade ad averlo reso un personaggio anche tra chi non si sente a proprio agio con gli algoritmi: è lui, infatti, ad aver ripescato, trasformato e popolarizzato l’ormai famosa «Teoria dei sei gradi separazione», la seducente ipotesi formulata per la prima volta nel 1929, secondo la quale ognuno di noi può essere collegato a qualunque altra persona attraverso una catena di conoscenze con non più di cinque intermediari. Come dire che la distanza tra un povero e un ricco, tra un signor qualunque e una star del cinema è meno abissale di quanto si pensi. E non a caso Watts ha scritto anche un saggio molto dibattuto – «Tutto è ovvio una volta che sai la risposta» – per darci uno scossone e spiegare che il senso comune non aiuta granché, né a decifrare le scelte degli investitori né a capire il fascino morboso esercitato da Monna Lisa. E’ ora – suggerisce – di guardarci intorno con occhi diversi. Sia con la creatività delle scienze sociali computazionali sia con il rigore delle loro formule.
See on www.lastampa.it