Isaia amava minacciare gli uomini con la promessa dell’ira di Dio; ma tra le sue profezie si incunea un momento di poesia, e di speranza, quando risuona la domanda «Sentinella, a che punto è la notte?». Nel disorientamento dei nostri giorni, tra l’euforia per il progresso tecnologico e il terrore per le ricadute sul lavoro e sulla riservatezza dei dati personali, un interrogativo molto simile è stato posto da cinque ricercatori della Oxford e della Yale University, in un’indagine pubblicata il 31 maggio: When Will Artificial Intelligence Exceed Human Performance? Quando l’intelligenza artificiale supererà le prestazioni dell’uomo?

I loro interlocutori sono stati i 1.634 ricercatori che nel 2015 hanno presentato almeno una pubblicazione alle conferenze Nips e Icml, i più importanti convegni di intelligenza artificiale del mondo. Sono loro i guardiani del nostro futuro planetario; ma solo il 21% ha onorato il compito rispondendo alle domande del questionario: si tratta pur sempre di 350 studiosi, un numero non disprezzabile. Quando si comincerà a intravedere l’alba di un nuovo mondo in cui gli automi saranno dotati di un’emotività e di una personalità paragonabile a quella degli esseri umani? Arriverà il giorno in cui si infurieranno contro di noi, e pianificheranno uno sciopero per protestare contro la condizione di schiavitù in cui li avremo segregati?

La domanda su quanto durerà ancora la notte dell’incoscienza dei robot, rinchiusi nelle istruzioni del software, senza libertà e senza fantasia, si declina in un insieme di interrogativi su tre aree: l’evoluzione dell’ingegneria del pensiero, lo scavalcamento degli uomini in abilità professionali specifiche, le conseguenze sociali del progresso dell’intelligenza artificiale.

L’acronimo Hlmi («intelligenza di alto livello delle macchine») denota la fine del sonno dogmatico, che imprigiona i calcolatori nel determinismo delle istruzioni sequenziate nel programma: la soglia sarà attraversata quando gli automi saranno in grado di svolgere i compiti assegnati meglio (e a un costo inferiore) degli agenti umani, senza soccorsi dall’esterno. In altre parole, senza iniezioni sleali di memoria enciclopedica, in cui siano capitalizzate informazioni non elaborate dall’esperienza vissuta del robot. Dovranno imparare da soli, come fanno i bambini. È una soglia che ha animato le utopie negative della fantascienza, ogni volta in cui è sorto il sospetto che l’alba del pensiero informatico possa coincidere con la discesa della notte sulla società degli uomini, consegnata ad un’epoca di miseria e di schiavitù.


Il futuro tra 45 anni

A colpo d’occhio, la soglia dell’Intelligenza di alto livello le macchine potrebbero attraversarla tra 45 anni, con una probabilità del 50%; anticiparla tra nove anni, riduce le possibilità al 10%. Ma se si disaggrega il dato complessivo, emergono le differenze tra le stime degli esperti sulle due sponde dell’Oceano Pacifico. Gli specialisti americani allontanano il raggiungimento del risultato a 74 anni; per i cinesi, invece, la previsione deve essere anticipata a 30 anni – meno della metà del tempo pronosticato dai colleghi occidentali.

Questo dato contiene un’informazione che ha a che fare con le strategie politiche di investimento dei diversi paesi: quando la domanda verte sul risultato generale, il pensiero viene condizionato dal volume di investimenti e dalla pressione dei finanziatori, più che dall’analisi degli aspetti cognitivi, ingegneristici e politici. In Asia il maggiore ottimismo di chi lavora sull’intelligenza artificiale dipende da un fattore esclusivamente finanziario: l’I.A. è uno dei settori che il governo di Pechino ha identificato come strategico per il successo economico della nazione e su cui convergono valanghe di denari. Il fatto che Donald Trump abbia manifestato il suo entusiasmo soprattutto per l’estrazione di carbone, e abbia investito sul lavoro dei esseri umani impegnati nelle miniere di carbone, non ha invece contribuito al risveglio né dell’intelligenza artificiale, né tanto meno di quella naturale.


Prima sfida: i videogiochi

La soglia dell’Hmli non si attraversa tutta d’un colpo. Secondo le nostre sentinelle, l’arrivo della nuova era in cui le macchine saranno più intelligenti di noi comincerà ad annunciarsi nelle partite di Angry Birds: l’abilità dei computer nel manovrare il videogame dovrebbe superare quella umana entro il 2019, con una probabilità del 50%. Secondo i più ottimisti, gli uccellini furiosi della Rovio Entertainment potrebbero essere dominati dalle competenze del pensiero informatico entro la fine di quest’anno; per i più pessimisti, l’appuntamento con l’incoronazione di un campione digitale deve essere rinviato al 2024.

La destrezza per interagire con tutti i giochi della Atari, meglio dei ragazzini in carne ed ossa, deve attendere ancora poco meno di otto anni, sempre con una probabilità del 50%; per un esercizio umile – ma prezioso – come il ripiegamento della biancheria (ma con il talento di un commesso), la scadenza è fissata al 2020. Le madri preferirebbero che i pargoli mettessero in ordine la stanza prima di divertirsi; le macchine, come i giovani, antepongono il gioco al dovere.

Se si passa a incarichi di maggiore vocazione intellettuale, la trascrizione di un discorso orale e la traduzione da una lingua all’altra (ma solo al livello di competenza di un non-professionista), sono attese tra sette anni – sempre con una probabilità del 50%. Nel 2025 gli automi cominceranno a scrivere tesine di livello universitario, e sapranno giustificare le mosse eseguite per vincere le partite dei videogame: come nella definizione di Thomas Kuhn, anche la scienza in fondo è un gioco, un rompicapo, perlomeno quando sta attraversano un periodo «ordinario».

Passeranno poco più di dieci anni prima che una macchina sappia comporre una canzone
, paragonabile a quelle che occupano le prime 40 posizioni nelle classifiche di vendita; lo farà mentre imparerà a guidare un camion meglio di un pilota umano, ma le serviranno altri tre anni per riuscire a persuadere i clienti, con il talento di un venditore professionista. Vedremo come le learning machine se la caveranno con l’attitudine all’omissione di verità, e con l’inclinazione alla truffa: l’esperimento Tay di Microsoft, l’intelligenza artificiale diventata razzista dopo meno di 24 ore di dialoghi su Twitter, legittima più di una preoccupazione.


L’ottimismo degli scienziati

I risultati più sofisticati sono rinviati di oltre un quarto di secolo. La redazione di un libro, che possa ambire a entrare negli elenchi dei bestseller del New York Times, richiederà ancora più di trent’anni di sviluppi; per arrivare alla prima generazione di chirurghi e di matematici meccanici, occorrerà aggiungere altri cinque anni di progressi. Per chi ha la mia età, l’attesa di vita promette di arrivare a vedere questi successi – ma nient’altro – prima di lasciare questo mondo.

Gli esperti di intelligenza artificiale nutrono un’opinione di sé così alta, da ritenere che nascerà un ricercatore (informatico) di AI solo tra ottant’anni: saranno già trascorsi cinquant’anni dalla realizzazione dell’automa che saprà imitare tutte le facoltà di un uomo medio, e ne serviranno altri quaranta per un robot che riuscirà a superare, per doti cognitive e maestria pratica, i migliori specialisti di qualunque attività professionale.

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