Stanford sta esplorando la possibilità di usare la VR per superare le paure e le fobie: il Virtual Human Interaction Lab interno all’università sta usando Oculus Rift per scopi terapeutici, sperimentando il potenziale della VR come strumento per superare alcune paure o potenziare la propria empatia.
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Nel caso del trattamento delle dipendenze, la VR viene usata come un sofisticato simulatore, che ricrea situazioni di stress dando vita a una sorta di cerchio magico virtuale dove il paziente è in grado di sperimentare in totale sicurezza.
Il quotidiano USA Today si è recato presso l’università per provare una delle simulazioni, che chiedeva all’utente di attraversare un profondo strapiombo. Il sito descrive un’esperienza in cui il pavimento virtuale sotto all’utente scompare, costringendolo a camminare su una stretta passerella di legno che si estende sopra la fossa.
Scopo dell’esperienza è replicare le fobie che un individuo proverebbe se si trovasse a contatto con una determinata situazione nella vita reale.
In un’altra delle simulazioni disponibili, gli spettatori venivano messi di fronte a un pubblico composto di avatar, che mantenevano lo sguardo fisso sull’utente mentre camminavano nella stanza; obiettivo di questa situazione virtuale era aiutare le persone che non si sentono a loro agio con il parlare in pubblico.
Jeremy Bailenson, direttore nonché fondatore del laboratorio di Stanford, ha dichiarato a proposito dell’esperienza: “Qui si studiano gli effetti del transfer: come fa un’intensa esperienza in realtà virtuale a cambiare il modo in cui pensiamo a noi stessi e gli altri?”
Si tratta di un campo tremendamente affascinante e che apre frontiere interessantissime per quanto riguarda l’ambito della terapia psicologica. Simili ricerche sull’empatia,
inoltre, possono aprire nuovi, interessanti scenari anche per quanto riguarda il game design, soprattutto per quanto concerne le esperienze dal taglio narrativo ed emotivo.
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