VEDERE ciò che guardano gli occhi di un’altra persona e provare le sue stesse sensazioni. Si tratta dell’ultima frontiera promessa dalla realtà virtuale. Un vero business su cui puntano i più grandi colossi del mondo high tech. Come dimostra l’acquisto di Oculus VR da parte di Facebook per ben due miliardi dollari. L’ambizione più alta è quel “portarci dentro” teorizzato in Neuromante da William Gibson. Dentro non solo il cyberspazio. Ma anche le persone. Un sogno che potrà realizzarsi, forse presto, grazie alle nuove tecnologie. In prima linea: il visore virtuale progettato dalla startup statunitense, cuffie, sensori di movimento e sistemi per controllare i muscoli. Tutti macchinari pronti da usare per immergerci nelle vite di sconosciuti e no.
Source: www.repubblica.it
A lavorarci, secondo le ultime indiscrezioni riportate da CNET, anche un ricercatore della Sony che proprio lo scorso maggio ha presentato il suo caschetto.
Il nome è Jun Rekimoto. La filosofia? "Credo che l’esperienza migliore si verifichi quando un uomo arricchisce un altro uomo", ha spiegato. Due i progetti che sta testando nei laboratori di Tokyo della compagnia. C’è LiveSphere, un casco composto da sei telecamere.
C’è Flying Head, dove un drone segue i movimenti di una persona. Applicazioni: uniti a delle istruzioni audio e a dei dispositivi tattili montati sulle dita, i sistemi messi a punto da Rekimoto potrebbero aiutare chi li usa a cucinare e automedicarsi.
Potrebbero supportare e consigliare gli atleti durante gli allenamenti. Potrebbero persino permettere agli spettatori di vivere con loro l’emozione quasi fisica di trovarsi su un campo di calcio, o pallavolo, rimanendo però comodamente seduti sul divano di casa. Prodotti ancora in fase sperimentale, sia chiaro, ma che ultimati sarebbero in grado di cambiare il modo in cui la gente guarda film, gioca e comunica.
Dice a Repubblica.it Yifei Chai, ideatore del Pretender Project: "Gli obiettivi più promettenti e a breve termine riguardano sicuramente il settore dei videogiochi. E vogliono offrire agli utenti un’esperienza totalmente nuova". Per farlo Chai sta perfezionando una piattaforma che consente di diventare un avatar. Non virtuale, ma reale.
Un’idea ispirata dal cosiddetto Proteus Effect, un fenomeno psicologico che si verifica quando il comportamento di un giocatore cambia in accordo a ciò che fa il suo alter ego virtuale. Anche nella vita reale. "Ci siamo chiesti: questo effetto si può replicare in un ambiente fisico con persone che diventano gli avatar di altri?", racconta, "Così abbiamo ideato la nostra piattaforma. Come una sorta di allenatore sarà in grado di controllare direttamente, indirettamente, o da remoto il corpo di un individuo: aiutandolo a migliorare le sue performance, o anche a imparare dei movimenti complessi.
Inoltre, il sistema permetterà all’utente di controllare più partecipanti allo stesso tempo. Si potrebbe, quindi, pensare a una sorta di insegnamento di gruppo, o all’ambito medico. Con fisioterapisti che permettono ai diversamente abili di compiere certi gesti". Tecnologie usate: il visore Oculus Rift a bassa latenza, in grado di creare un senso di movimento realistico, cuffie e in più una stimolazione muscolare elettrica. In teoria si dovrebbe poter ordinare all’avatar di fare qualsiasi cosa. In pratica: il dispositivo attuale – annota The Verge – può solo controllare le braccia, e lo fa con scarsa accuratezza e ampio ritardo. Conclude Chai: "Il potenziale è alto, i campi di applicazione sono i più diversi, ma c’è ancora molto da lavorare".
Simile al Pretender Project è lo spagnolo "The machine to be another" che, però, si propone una missione quasi pedagogica. Nel corso degli esperimenti, il team di BeAnotherLab ha dotato sia un uomo sia una donna di un Oculus Rift. Poi ha invertito gli input dei loro display, in modo che quando il maschio guardava il suo corpo vedeva quello della femmina.
E viceversa. Rendendo in questo modo possibile uno scambio di genere quasi perfetto: al momento manca la sensazione di toccare con mano, però il gruppo ci sta lavorando. Non solo. Durante altri test, i ricercatori hanno fatto provare a una persona in carrozzina la sensazione di ballare grazie alle gambe di un altro volontario. Un’esperienza, assicurano, del tutto realistica. "Attraverso questi lavori speriamo di indagare su questioni come l’identità sessuale, il femminismo e il reciproco rispetto", hanno scritto i responsabili degli studi suo loro sito. Obiettivo: migliorare la comprensione dello stato d’animo altrui.
Funzionerà? "Potrebbe essere temporaneamente utile", ha commentato Anne Vitale, psicologa che da anni lavora con persone che soffrono di disforia (cioè disturbi dell’identità di genere), interpellata da Polygon. Jessica Janiuk, ingegnere di software, ha aggiunto: "Penso sia fantastico usare la realtà virtuale per fare delle indagini su questi temi. È qualcosa a cui ho pensato fin da quando ho sentito parlare di Oculus Rift". D’altra parte, ha concluso, "un poco di empatia in più è qualcosa di cui la razza umana avrebbe bisogno".
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